Nel programma di tutela e sensibilizzazione portato avanti dal Centro per le Adozioni Internazionali e Assessorato alla Sanità del Comune di Gaeta, in occasione della giornata internazionale contro il lavoro minorile del 12 giugno, di particolare importanza nel 2021 dichiarato l’anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile, si ritiene opportuno condividere l’ultimo rapporto dell’Unicef relativo ai bambini che lavorano.
Il primo comma, dell’art. 32 della Convenzione sui diritti dell’infanzia espressamente sancisce che “ Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o che sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”.
Eppure, nonostante la normativa nazionale e internazionale a tutela della salute del fanciullo, nel rapporto Unicef si legge chiaramente che ancora oggi si vedono scene di bambini accovacciati davanti ai telai in Nepal, chini sotto carichi di carbone in Colombia, esposti ai pesticidi nei campi di caffè in Tanzania, stipati nelle concerie e nei laboratori tessili clandestini in India .
La regione Asia/Pacifico è quella con il più alto numero di bambini lavoratori, segue l’Africa subsahariana e l’America latina, ma sono riportate anche alcune province italiane.
Paesi, questi, dove infatti c’è un alto numero di bambini dichiarati adottabili; a dimostrazione dell’incapacità di questi stati di prendersi cura dei propri bambini.
L’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) stima che siano coinvolti nel fenomeno circa 218 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni, gran parte impiegati in forme di lavoro pericoloso per il loro sviluppo psico-fisico
Secondo il documento dell’Unicef, quantificare con precisione il lavoro minorile nel mondo è assai difficile, a causa della naturale tendenza di questo fenomeno a rimanere nell’ombra..
Oltre a un evidente motivo di ordine economico (la povertà), esiste anche una matrice di ordine culturale che induce ad impiegare bambini nel mondo del lavoro e che vede, infatti, le bambine più penalizzate rispetto ai bambini.
Nel rapporto italiano dell’Istituto nazionale di statistica del 2002 viene sottolineato l’elemento di invisibilità del lavoro minorile che, per sua natura, tende a svilupparsi nella clandestinità o nell’illegalità o in contesti privati (in famiglia), rimanendo perciò difficilmente accessibile ai ricercatori . Un fenomeno che coinvolge 144.000 bambini tra 7 e 14 anni.
Il principale riferimento normativo sul lavoro minorile in Italia è costituito dalla legge n. 977 del 1967 “Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”, che fissa il limite minimo di età per lavorare a 15 anni (14 anni per attività agricole, servizi familiari e mansioni leggere nell’industria) e comunque proibisce il lavoro nocivo per la crescita del ragazzo fino ai 18 anni di età o quello svolto in violazione dell’obbligo scolastico.
Nelle Osservazioni conclusive del 2003 che il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia ha rivolto all’Italia sui passi da compiere per la piena attuazione di quanto sancito nella Convenzione, nella parte relativa allo sfruttamento economico, viene indicato quanto segue: “Il Comitato raccomanda che lo Stato parte sviluppi, sulla base del recente studio, una strategia comprensiva di obiettivi specifici e mirati finalizzati alla prevenzione ed eliminazione del lavoro minorile attraverso, tra l’altro, attività di sensibilizzazione e individuazione dei fattori che lo causano”.
Di seguito il rapporto Unicef completo
https://www.unicef.it/pubblicazioni/i-bambini-che-lavorano/
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