“Nel pomeriggio apprendo per radio che il Generale Pietro Badoglio ha firmato un armistizio con il Generale Dwight D. Eisenhower…ore 22.00 allarme aereo”. È solo una delle testimonianze di quanto vissuto dai cittadini di Gaeta dalla firma dell’Armistizio dell’8 settembre 1943, quando l’illusione di una guerra che sembrava ormai finita venne spenta dalla brutale ferocia della reazione nazista. Ricorre domani l’80° anniversario di uno dei periodi più tragici della storia d’Italia e, in particolare di Gaeta e della sua popolazione, costretta ad abbandonare le proprie case e la città stessa e vivere per mesi in situazioni di fortuna e di estrema precarietà. Nel messaggio di Badoglio, come riportato dal libro di Antonio Di Tucci, “La guerra finita: Diario di mio padre dall’8 settembre del 1943 al 2 luglio del 1944”, «si accenna alla possibilità di doversi ‘difendere’ da una reazione tedesca, ma di fatto ciò avvenne solo tramite pochi e isolati scontri, uno dei quali proprio a Gaeta. Mio padre scrive nei suoi appunti, che da questo momento per la nostra città non vi fu pace. Le possibilità di uno sbarco alleato, data la configurazione del territorio, nonché l’importanza della base navale, spinsero le truppe tedesche a non avere un attimo di tregua. Furono immediate le azioni contro la guarnigione militare cittadina, ma ancor più rapida fu l’azione a Formia che permise di tagliare ogni possibilità di ricevere rinforzi e aiuti di qualsiasi tipo alle truppe site a Gaeta. Quasi immediatamente i tedeschi tolsero la corrente elettrica, tagliarono i fili del telegrafo e del telefono in modo che nessuna notizia potesse arrivare e partire da Gaeta. A parte le azioni militari, i tedeschi iniziarono ad attivare un vero e proprio terrorismo psicologico, che non fece altro che aumentare il disorientamento nella popolazione. Emblematico fu il rapido bombardamento della Cattedrale nella notte dell’8 settembre 1943, che apparve come un vero attacco alla popolazione. (…) Migliaia di uomini vennero picchiati, torturati, fucilati o uccisi in altri brutali modi. (…) Fu così che quella che doveva essere una “guerra finita”, si tramutò nell’inizio di nove mesi di tragedia per la città di Gaeta. Già dal 10 settembre cessò l’erogazione di acqua potabile. (…) 9 settembre 1943. Ore 1, allarme aereo con lancio di bombe e fuochi di artiglieria ben nutriti. Siamo riuniti insieme con delle persone del vicinato in un vecchio montano nel giardino di casa. Alcune donne piangono; non vi era mai stato lancio di bombe a Gaeta».
La stessa sorte toccò non solo agli abitanti di Gaeta, ma anche ai militari presenti nei presidi. Per i Tedeschi, infatti, l’Armistizio assunse la forma di un tradimento. Particolarmente emozionante è la storia di Ugo Della Monica, 24 anni, sottotenente del 56° Reggimento Fanteria Marche, originario di Salerno e arrivato a Gaeta per la sua prima missione.
«Quando a Gaeta si seppe dell’armistizio – racconta Salvatore Gonzalez, presidente del Museo del Fronte e della Memoria, che raccolse le memorie di un cittadino gaetano -, i Tedeschi che la occupavano, per paura di una rappresaglia, disarmarono e arrestarono molti soldati italiani. Un battaglione di soldati tedeschi si presentò al comando della Difesa di Gaeta per impossessarsi del naviglio attraccato ai moli. Le navi in porto erano: un sommergibile, alcune corvette, dei mas e altre unità della Regia Marina. E proprio lì, sull’ingresso al molo, un soldato italiano si mise dietro la mitragliatrice per sbarrare la strada ai nazisti. Il soldato italiano, una volta intimato l’alt, sparò ai Tedeschi che risposero con i mitra. Lo hanno straziato! Era un povero Italiano intento nel proprio dovere, come tanti, in balia del suo destino, senza più ordini, ma solo con la patria nel cuore. Il suo gesto salvò le navi! La sua vita non fu sprecata; quell’Italiano fece il suo dovere! Il giorno dopo, insieme ad alcuni amici, dopo essersi accertato che i soldati tedeschi fossero andati via, il gaetano, testimone dei fatti, recuperò il corpo del soldato morto sul posto di combattimento: non avendo dove mettere il corpo esanime per trasportarlo al cimitero, calarono una bandiera da un palo nelle adiacenze del molo, la posero in terra e vi avvolsero il corpo martoriato del soldato. La bandiera, sporca di sangue, venne nascosta per paura di una rappresaglia tedesca a seguito della scomparsa del corpo del militare. Quello stesso tricolore è arrivato sino ai nostri giorni conservato, per 65 anni in una scatola». A ricordo di quel nobile gesto, sull’ingresso del molo che Ugo Della Monica difese con eroismo, la Città di Gaeta e il Museo del Fronte e della Memoria hanno collocato una stele, mentre nei prossimi giorni si svolgerà una cerimonia commemorativa, a ricordo di quanti persero la vita per la libertà.
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