Presso il circolo nautico Vela viva (penultimo stabilimento sul lungomare di Vendicio a Formia, in direzione di Gaeta), sono in programma, a partire da venerdì 12 luglio, alle ore 21.00 e con scadenza settimanale, le proiezioni dei film previste all’interno dell’appuntamento estivo con “Cinema alla deriva”, giunto alla tredicesima edizione. La rassegna, intitolata “Il bacio divino”, è quest’anno dedicata a 7 classici del cinema imperniati sulla biografia umana e artistica di 7 geni dell’arte del passato e del nostro tempo. L’ingresso è libero.
Venerdì 12 luglio
Il tormento e l’estasi (The Agony and the Ecstasy, USA 1965, col., 137’) di Carol Reed, con Charlton Heston, Rex Harrison, Tomas Milian, Harry Andrew, Diane Cilento
Michelangelo Buonarroti (1475–1564) è già un affermato scultore quando viene incaricato da papa Giulio II di affrescare la Cappella Sistina. Tra travagli artistici e personali litigi con il ruvido committente, Michelangelo distrugge le sue pitture, si ammala, cade dall’impalcatura. Sta quasi per abbandonare l’impresa, ma in extremis arriva la riconciliazione col papa e col proprio genio pittorico. Magniloquente riduzione cinematografica dell’omonimo romanzo-fiume di Irving Stone, adattato dall’esperto Philip Dunne per la messinscena sontuosa allestita dal veterano Carol Reed: girato tra Umbria, Toscana e Lazio (con la Cappella Sistina ricreata negli studi di Cinecittà), descrive con pathos drammaturgico e monolitiche movenze le schermaglie tra un papa e uno dei più grandi geni mai vissuti. Un’opera spettacolare e intimamente contraddittoria, sviluppata sul dualismo tra i complessi caratteri dei due protagonisti. Efficace il nutrito ed eterogeneo cast, trascinato dai duetti tra Charlton Heston e Rex Harrison (che nella realtà si disprezzavano reciprocamente), con Tomas Milian nei panni di Raffaello e, tra gli altri, Harry Andrews, Diane Cilento, Alberto Lupo e Adolfo Celi. Insuccesso al botteghino.
Venerdì 19 luglio
Caravaggio (Caravaggio, Gran Bretagna 1986, col., 97′) di Derek Jarman, con Nigel Terry, Tilda Swinton, Sean Bean, Nigel Davenport, Dexter Fletcher, Robbie Coltrane
La vita convulsa, ribalda e vagabonda di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571?–1610) ripercorsa dal pittore durante la sua agonia: la sua gioventù miserabile, la protezione del Cardinale Del Monte, la sua ascesa fino all’episodio che ne segnerà la vita, la tragica relazione con il baro Ranuccio Tomassoni e con l’amante di lui, Lena. È la storia di un artista geniale e maledetto, attraverso la quale Jarman pone l’accento sul binomio genio-sregolatezza, sottolineando le scelte di vita passionale che hanno portato il pittore alla morte. Usando una messinscena quasi pasoliniana, il regista underground inglese (che proviene dalla pittura) ricrea le luci delle opere caravaggesche (magnifica la fotografia di Gabriel Beristain), mostrandoci come esse nacquero dalla vita tormentata e breve (morì a 39 anni) del pittore che riuscì a trasporre sulla tela le figure e i dolori della (sua) vita reale, realizzando capolavori “scandalosi” (i personaggi dei suoi quadri sono spesso trasposizioni di figuri da taverna: la modella per una Madonna era una prostituta e il Cristo della Deposizione fu dipinto guardando un annegato). Belle le soluzioni scenografiche che mettono in evidenza le più importanti opere dell’artista. Ma soprattutto Caravaggio, come grida soddisfatto a un certo punto del film, riuscì a “dare forma al puro spirito”. E questa è la sua maggiore grandezza.
Venerdì 26 luglio
Artemisia – Passione estrema (Artemisia, Francia/Italia 1997, col., 100′) di Agnès Merlet, con Valentina Cervi, Michel Serrault, Miki Manojlovic, Luca Zingaretti
A Roma, l’adolescente Artemisia Gentileschi (1593–1654), figlia del noto pittore pisano Orazio, scopre i piaceri della vita, della carne e dei pennelli, ed è vittima dei pregiudizi del suo tempo e della sopraffazione virile nell’amore: la violenza carnale subita dal suo maestro Agostino Tassi, aitante collaboratore del padre, e quella ancor più profonda (un secondo “stupro”) del processo contro lo stesso Tassi, dove la vittima si trasforma in accusata. Agnès Merlet, che aveva esordito nel 1993 con “Le fils du requin”, bellissima opera ancora inedita in Italia, realizza un film apprezzabile per il tentativo di fare della pittrice un’eroina romantica in rotta con la società e per la concretezza con cui è rappresentata l’azione del dipingere. La regista francese ha il merito di lasciare spazio ad attori italiani di carisma come Luca Zingaretti e specialmente Valentina Cervi, nipote d’arte e di talento. L’occhio di Artemisia, artista orientata verso un innovativo naturalismo aspramente drammatico e chiaroscurale, domina la scena, esplora la realtà all’unisono con lo sguardo della regia, la fotografia coglie la plasticità e i contrasti della luce caravaggesca, la carnalità dei corpi e dei nudi lascia intravedere la maliziosa energia della ricerca della bellezza, il dettaglio domina la ricostruzione dei costumi e delle tecniche pittoriche dell’epoca. Uno dei due o tre film più sottovalutati e meno compresi della stagione 1997-98.
Venerdì 2 agosto
Turner (Mr. Turner, Gran Bretagna 2014, col. 149′) di Mike Leigh, con Timothy Spall, Dorothy Atkinson, Marion Bailey, Paul Jesson, Lesley Manville, Martin Savage
Gli ultimi 25 anni di vita di Joseph Mallord William Turner (1775-1851), eccentrico pittore e incisore inglese, uno dei maggiori esponenti del movimento romantico. Profondamente turbato dalla morte del padre, Turner inizia a vivere con la donna di servizio che lo aiuta nel lavoro. Affascinato dalla scienza, dalla fotografia e dalle ferrovie, viaggia molto per esporre e per ammirare quello che poi dipingerà, mentre sfida una tempesta di neve attaccato all’albero di una nave per dipingere la tempesta stessa. Il regista inglese filma la passione della luce e dell’occhio di Turner con assoluta essenzialità, evitando accuratamente l’aridità dell’illustrazione erudita e, con sublime maestria, ci conduce nel mondo turneriano e ce lo mostra con gli occhi del protagonista, anche grazie all’uso di una straordinaria fotografia che, nella vividezza del digitale, restituisce tutta la suggestione del cromatismo di Turner: i cieli cupi delle tempeste, i toni scuri delle onde, i cieli rossi di Venezia e quelli feriti dagli incendi, la bruma del paesaggio inglese e i tramonti folgoranti sull’orizzonte olandese. C’è più d’un riferimento, in questo film, alla consapevolezza che il pittore protagonista della storia è uno dei più grandi paesaggisti di sempre, un artista determinante nello sviluppo della pittura moderna. Nel corpo di Timothy Spall, Leigh incarna il tormento dell’immagine che diventa testimonianza storica grazie alla precisione di un gesto filmico tanto potente quanto discreto.”Turner” è un sincero omaggio cinematografico al “poeta della luce”.
Mercoledì 7 agosto
Brama di vivere (Lust for Life, USA 1956, col., 122′) di Vincente Minnelli, con Kirk Douglas, Anthony Quinn, James Donald, Pamela Brown
Vincent van Gogh (1853-1890) raccontato nella sua follia d’artista, nella sua “geniale” schizofrenia. Contrapposto a un Paul Gauguin razionale, van Gogh è l’estro in persona, è il massimo della sensibilità e dell’emotività. Il regista ripercorre le vicende principali della sua vita (il rapporto e poi la rottura con Gauguin, la famiglia, il taglio dell’orecchio) in un’ottica di “diversità”, dove arte e follia viaggiano parallele. Ispirato all’omonimo romanzo di Irving Stone del 1934, a sua volta basato sull’epistolario di van Gogh e del fratello Theo, è un biopic lirico e fiammeggiante dedicato a due artisti che hanno scritto la storia dell’arte moderna e al loro difficilissimo econtrastato rapporto, nel tratteggiare il quale Minnelli dimostra una grande sensibilità, condensandone la tensione febbrile, oscura e sudata che ha legato in vita i due protagonisti. Girato nei luoghi realmente dipinti da van Gogh (così che le inquadrature spesso sfumano nelle riproduzioni dei quadri), è un ritratto (è proprio il caso di dire) intimo e mai paternalistico, in grado di indagare dolore e sofferenza di uno dei più controversi geni che la pittura dell’Ottocento abbia potuto vantare. L’approccio personale di Minnelli unisce gusto pittorico per l’immagine e sguardo profondo per indagare i lati meno noti del protagonista. Indimenticabile la prova di Kirk Douglas, raramente così espressivo, inquietante nella sua rassomiglianza fisica e coinvolgente per la violenza della sua caratterizzazione, ma Anthony Quinn (premiato con l’Oscar: non più di 8 minuti sullo schermo!) non gli è da meno. Fondamentale il contributo delle luci e dei colori di Russell Harlan e Freddie Young.
Mercoledì 21 agosto
Frida (Frida, USA 2002, col., 119′) di Julie Taymor, con Salma Hayek, Alfred Molina, Geoffrey Rush, Ashley Judd, Edward Norton, Antonio Banderas, Valeria Golino
La breve e tumultuosa vita di Frida Kahlo (1907-1954), talentuosa e bizzarra pittrice messicana che contaminò surrealismo e tradizione folclorica in ritratti e autoritratti: il successo artistico, il complesso rapporto col marito (il pittore di murales Diego Rivera), la controversa relazione con il rivoluzionario russo Lev Trotskij, le unioni provocatorie con numerose donne, le precarie condizioni di salute, i tanti interventi chirurgici. Dettagliata, minuziosa nella rievocazione dei dipinti di Frida, l’opera seconda (dopo “Titus”) della regista teatrale americana è un caleidoscopio di temi e immagini: il Messico tra le due guerre, Parigi, New York, speranze rivoluzionarie, passioni, sesso, amori eterosessuali e saffici, tradimenti, dolore, malesseri fisici e psicologici di una pittrice tanto tormentata quanto affascinante. Artista a partire da un incidente, Frida diventa portatrice di un dolore fisico che sembra scaturire da uno più profondo che sta dentro la tradizione, anzi la Tradizione, quella femminile della resistenza e della rivoluzione quotidiana che affianca quella eroica dell’umanità. Se la Hayek infonde fuoco, energia e passione al suo personaggio, Molina, con il suo Rivera dall’immaturo amore per Frida, non le è da meno. Grande Judd nella piccola, perfetta interpretazione di Tina Modotti, fotografa e attrice di origine italiana, attiva nel movimento rivoluzionario internazionale dell’epoca. Oscar per il trucco.
Mercoledì 28 agosto
Pollock (Pollock, USA 2000, col., 118′) di Ed Harris, con Ed Harris, Marcia Gay Harden, Amy Madigan, Jennifer Connelly, Val Kilmer
Un uomo tormentato, combattuto dai dubbi, impegnato in un solitario braccio di ferro tra la necessità di esprimere se stesso e il desiderio di escludere il mondo intero dalla sua opera. Così era Jackson Pollock (1912-1956), uno dei più grandi artisti del ventesimo secolo che, a poco a poco, sprofondò in una spirale senza ritorno che distrusse il suo matrimonio, la sua carriera e, in una notte d’estate del 1956, la sua vita. Quasi predestinato alla tragedia, il pittore americano (il principale esponente dell’”action painting”, caratterizzata dal “dripping”, sgocciolamento dei colori sulla tela) corre verso la fine, esattamente come corre l’automobile dell’incidente che sarà fatale. Per Harris, Pollock sceglie di non poter vivere senza pittura e la vita non c’è senza pittura: risolve le premesse espressioniste e surrealiste della sua formazione in una identificazione totale del proprio essere con l’atto stesso del dipingere. Pollock non lascia allievi, solo epigoni, a migliaia. Inseguendo un mimetismo interpretativo strabiliante, il regista e protagonista non ha paura di dedicare lunghe scene proprio alle fasi della creazione artistica. Forse una sola breve frase di quell’uomo, che consumò l’esistenza in pochi estenuanti anni, ci può accompagnare ad un corretto discernimento: “Essere artisti è la vita stessa: è vivere, voglio dire”. Splendida colonna sonora jazz. Pollock adorava Benny Goodman e Gene Krupa. Tom Waits chiude con “The World Keeps Turning”, appositamente composta: mesto, languido e commovente omaggio. Oscar a M.G. Harden che interpreta il ruolo della moglie di Pollock.