Carlo Alberto Palumbo nasce a Napoli nel 1976 dove vive e lavora. Studioso appassionato delle tecniche pittoriche antiche, del disegno e dell’anatomia, intraprende sin da giovane il percorso artistico diplomandosi nel 1997 presso il Liceo Artistico di Napoli. Successivamente nel 2003, consegue il diploma di laurea in Pittura con il Maestro Raffaele Canoro presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Durante gli ultimi anni accademici conosce il pittore Marco Chiuchiarelli con cui fonda nel 2006 la scuola d’arte In Form of Art dove da anni vengono riproposte le metodiche tradizionali dell’insegnamento artistico desunte dalle botteghe del ‘400 e ‘500 e dalle Accademie del XVIII e XIX secolo.
Dal 2004 è attivo nel panorama espositivo nazionale selezionato e premiato in diverse rassegne e premi tra i quali il Premio Arte 2004, Premio Internazionale Arte Lagun, Kitsch Biennale di Monaco, Premio Celeste. Nel 2009 tiene la doppia personale Tra Sogno e Alchimia presso la Pinacoteca Comunale Giovanni da Gaeta esponendo il ciclo pittorico tratto dall’ opera di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate. Nel 2011 partecipa con l’opera Morrigan (un olio su tela di cinque metri) al Padiglione Italia della LIV Biennale di Venezia. Nel 2012 tiene la sua prima esposizione personale dal titolo LUX – Percorsi di Luce presso il Castel Nuovo di Napoli. Segue, nello stesso anno, la personale Sogno presso l’Istituzione Teatro Comunale Carlo Gesualdo di Avellino e la collettiva NINA – Nuova Immagine Napoletana presso il Palazzo delle Arti di Napoli. Nel 2013 vince il Chairman’s Choice Award all’International 2012-2013 ARC Salon con il dipinto Rinascita. Maestro di disegno, anatomia e tecniche pittoriche nella scuola d’arte In Form of Art, le sue opere sono trattate dalla Morrison Fine Art Gallery e presenti in collezioni private in Europa e negli Stati Uniti d’America.
Il prof. Marcello Carlino così scrive sulla Mostra “ama” di Carlo Alberto Palumbo: “Certo è che il fuoco, che s’innalza da un cero e scopre d’intorno a sé volti e membra e frammenti di corpo, magari raddoppiandosi in uno specchio, gioca una parte da protagonista – tanto frequentemente è di scena – e per iterazione, per successioni anaforiche, giunge a rivestire una funzione sacrale. Non diverso è il ruolo assegnato alle candele nell’opera di Palumbo. La sacralità della loro epifania riguarda tuttavia l’umanità dell’amore e di essa si fa compagna; non a caso il disporsi che ne viene fatto, ai piedi della coppia abbracciata, segue – come in una storia narrata per frammenti, in sintesi estrema – all’incontro, luce con luce, di due che si cercano (e la luce è la traccia, il segno per la quête) e che infine si trovano. Sotto un siffatto specifico profilo, l’eredità che Palumbo sembra mettere più puntualmente a frutto proviene da alcune figurazioni consuete, con gli oggetti deputati perciò ritornanti, di certa pittura simbolista nell’Europa di secondo Ottocento, che ha una frequentazione speciale, per altro, con il tema e i modi della luce.……Le candele in Palumbo portano il caldo di un incontro che si cerca, che avviene, che si vorrebbe senza fine e insieme riflettono il freddo che punteggia con la sua luce una sorta di veglia funebre. In una pittura-pittura a cui si ritorna con attenta, silenziosa deferenza, con una risolutezza convinta della ricchezza del suo patrimonio semantico.
Mauro Maugliani nasce a Tivoli nel 1967, vive e lavora a Roma dove si laurea all’’Accademia di Belle Arti nel 1991. L’artista matura con gli anni una sua personale cifra stilistica che si avvale di una invidiabile perizia tecnica. La sua pittura è minuziosa nella ricerca del dettaglio e negli ultimi anni l’artista sperimenta diversi medium che supportano la pellicola pittorica. Dal 2000 l’artista è attivo sulla scena contemporanea; tra i progetti espositivi personali si segnalano nel 2011 la mostra intitolata “Face Off” presso la galleria Romberg di Latina mentre nel 2009 la galleria Spazio Officina ospita l’esposizione intitola “Reale per Eccellenza”. Tra quelli collettivi, da sottolineare la partecipazione all’esposizione di Palazzo Collicola Arti Visive a cura di Gianluca Marziani intitolata “Atollo”, la mostra “Trialogo” promossa dalla galleria L’Opera di Roma a cura di Edoardo Sassi e “Look At Me” curata da Adriana Soldini presso la Pinacoteca Comunale di Arte Contemporanea di Gaeta.
“Noli me tangere” secondo Alessia Carlino: ” Il gesto del toccare, la seduzione tattile della materia, il corpo che diviene reliquia dello sguardo: Noli me tangere narra l’evocazione di un divieto, un meccanismo rappresentativo laddove il pittore, come afferma Jean-Luc Nancy “coglie non la visione estatica di un prodigio, ma un intreccio delicato intessuto tra il visibile e l’invisibile, dove ciascuno chiama e respinge l’altro, ciascuno sfiora l’altro e lo allontana da sé.” La pittura di Mauro Maugliani incarna un simile intreccio attraverso la perfezione tecnica di ogni minuzioso dettaglio fisionomico rappresentato, esegesi di una profonda lettura dell’uomo, come essere trascendente che reca in sé i medesimi procedimenti elettivi di un Cristo che risorge nella sua matrice incorporea e detta le regole di un contatto che è esente da qualsiasi forma riconducibile al reale. L’identità pittorica pone una distanza invalicabile, un accostamento differito, laddove l’opera stessa “esige una tale distanza per essere goduta e vista. Noli me tangere è l’imperativo che prescrive di non tentare di impadronirsi di ciò che essenzialmente si allontana, e che proprio allontanandosi ci tocca”……..Sottrarsi, dunque, a qualsiasi forma di desiderio che inneschi la volontà di toccare, poiché questa lontananza, questa costrizione fisica a cui siamo sottoposti dinnanzi un’opera d’arte è l’essenza stessa della sua trascendenza, della sua impalpabilità. Maugliani porta alla luce il tempo sospeso di un contatto irraggiungibile, nell’eleganza della forma, nell’inconsistenza di una traccia pittorica si cela la verità di un’appropriazione: l’opera d’arte annulla il fragile equilibrio tra immanenza e finzione, si impossessa di una dimensione a noi sconosciuta, lasciando nei nostri sguardi lo smarrimento di una traccia visibile che esprime “il ritrarsi costitutivo dell’esistenza”.
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