L’Agenzia delle Entrate può oggi sfruttare un nuovo metodo per farsi pagare dal contribuente: arriva l’accertamento induttivo. Capiamo di che cosa si tratta.
Con l’accertamento induttivo l’autorità fiscale, anche in assenza di prove dirette o documenti contabili attendibili, riuscirà a individuare i redditi non dichiarati dai contribuenti. Tutto in base all’uso di metodi statistici e procedimenti logiche. Calcoli basati su stime per ipotizzare i ricavi o i redditi che il contribuente dovrebbe aver ottenuto.
Parliamo dunque di indagini che si basano su presunzioni e stime indirette. Quindi, i dati contabili certi sono ormai riferimenti non per forza vincolanti per l’AdE. Conteranno anche altri rilievi. Come per esempio le informazioni ricavate dai controlli bancari, i confronti con le medie del settore e le analisi dello stile di vita del contribuente.
Quando scatta l’accertamento induttivo dell’Agenzia delle Entrate
Moltissimi contribuenti, in questi ultimi anni, sono riusciti a sfuggire ai controlli dell’Agenzia delle Entrate attraverso l’evasione totale. In assenza di libri contabili, l’AdE si è dovuta in più casi arrestate, bloccando sul nascere i propri accertamenti. La musica è cambiata. Anche quando i libri contabili del contribuente sono ritenuti inattendibili o inesistenti, l’Agenzia delle Entrate ha ora il potere di stimare il valore del danno all’erario. Ovviamente può farlo solo in precisi contesti e in riferimento a situazioni applicative chiare.
Dunque, per i contribuenti è fondamentale capire quando l’Agenzia delle Entrate può avvalersi del meccanismo dell’accertamento induttivo, e quali sono in pratica quelle situazioni che spingono l’autorità a muoversi in questo senso. C’entra il conto corrente. La procedura può essere applicata in presenza di movimenti sospetti sui conti correnti o spese e pagamenti incoerenti rispetto ai redditi dichiarati.
Cogliendo tali elementi sospetti, l’AdE può presumere che determinate somme siano legate a operazioni imponibili non dichiarate. Per questo, l’accertamento induttivo può essere applicato in caso di gravi irregolarità, ma anche quando si riscontra la mancanza di documentazione, o quando il contribuente non presenta la dichiarazione dei redditi.
Chi rischia di più? A finire sotto la lente di ingrandimento del fisco saranno tutti quei contribuenti che si rendono attori di movimenti bancari sospetti o che dichiarano meno del reddito reale o presumibile. L’attenzione sarà rivolta principalmente ai conti correnti intestati a terzi riconducibili al contribuente, come quelli di familiari o società. Ai professionisti e alle imprese con contabilità considerata inattendibile.
Per non far scattare questo tipo di indagine, il contribuente è chiamato a rispondere agli inviti dell’AdE per chiarire le operazioni effettuate. E, soprattutto, a fornire prove concrete che le somme sui conti bancari non siano redditi imponibili.
Il contribuente ha dunque l’onere di provare che le presunzioni dell’AdE siano errate. E può farlo solo fornendo documentazione e spiegazioni adeguate. Esiste, a ogni modo, la possibilità di ricorso. Quindi è possibile difendersi in sede legale contro l’accertamento induttivo. Ma, anche in quel caso, sarà fondamentale presentare prove concrete e dettagliate.