Firenze, 30 set. – L’epilessia è una comorbidità frequente nei pazienti affetti da tumori cerebrali e può essere il sintomo di esordio oppure svilupparsi dopo la diagnosi oncologica. Varie evidenze suggeriscono che l’epilettogenesi è relativa a più fattori tra cui uno sbilanciamento tra neurotrasmettitori eccitatori e inibitori, processi infiammatori, meccanismi compressivi e inadeguato apporto di ossigeno e vascolarizzazione al tessuto tumorale e alcuni fattori genetici. Si è discusso di questo durante la sessione dal titolo ‘Epilessia ad eziologia strutturale: focus sull’epilessia tumorale. Approccio farmacologico personalizzato’, in occasione del 62esimo Congresso Nazionale della SNO – Scienze Neurologiche Ospedaliere, in corso a Firenze. Ad intervenire sul tema la dottoressa Eleonora Rosati, referente del Centro Epilessia dell’ospedale ‘Careggi’ di Firenze.
“L’epilessia nei pazienti affetti da tumore cerebrale- ha detto la dottoressa Rosati- sembra avere un ruolo peggiorativo sia sulla qualità di vita sia sulla sopravvivenza, in parte per gli eventi avversi dei farmaci anticrisi, in parte per lo scarso controllo clinico dell’epilessia e dell’ipereccitabilità neuronale, che potrebbe avere un ruolo favorente la crescita tumorale”. La scelta della terapia in questi pazienti deve tener conto delle peculiarità relative alla condizione oncologica e delle ipotesi sull’epilettogenesi oncologica. “Non ci sono ad oggi dati provenienti da trials clinici che supportino la scelta dei farmaci anticrisi in questa popolazione di pazienti– ha fatto sapere la neurologa- poiché questi solitamente escludono dall’arruolamento i pazienti tumorali. Non ci sono neanche evidenze che le caratteristiche del tumore possano indirizzare la selezione di un farmaco specifico. Visto che neoplasia ed epilessia condividono meccanismi patogenetici a comune, è ipotizzabile che un trattamento efficace nel contrastare la crescita tumorale potrebbe avere un effetto antiepilettico e viceversa”.
In questo senso, è possibile che alcuni farmaci anticrisi possano essere preferibili rispetto ad altri per il loro potenziale effetto antitumorale. “Tra questi i farmaci con effetto sul sistema glutamatergico- ha fatto sapere Rosati- quelli con attività gabaergica o con ruolo sulla regolazione delle correnti ioniche del cloro, le molecole in grado di interferire con la via mTOR o con la regolazione epigenetica come gli inibitori dell’istone deacetilasi, potrebbero rappresentare ottimi candidati. Purtroppo ad oggi non esistono evidenze robuste sulla loro efficacia antitumorale, né che il loro effetto antiepilettico sia maggiore rispetto ad altri farmaci”. La terapia antiepilettica nei pazienti con tumore cerebrale è dunque frutto di una decisione complessa che deve tener conto di più fattori. “Se, in prima battuta, si raccomanda l’impiego di farmaci indicati per l’epilessia focale- ha sottolineato l’esperta- le caratteristiche che principalmente orientano il clinico verso una scelta mirata nel singolo paziente sono l’efficacia e la tollerabilità, vista la frequente farmacoresistenza e l’alta incidenza di eventi avversi in questa popolazione di pazienti”.
Tra gli altri “importanti” parametri di scelta, ci sono le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche: “Per minimizzare il rischio di interazioni farmacologiche con le terapie oncologiche o quelle usate per altre comorbidità- ha sottolineato ancora la dottoressa Rosati- i farmaci che non siano induttori o inibitori enzimatici sono, infatti, in generale da preferire. Un altro criterio di scelta è rappresentato dalla disponibilità di formulazioni diverse da quella orale, come le formulazioni per somministrazione endovenosa o in soluzione per os, utili ad esempio nella gestione del paziente nelle fasi terminali di malattia o nelle urgenze neurologiche. Anche la possibilità di una rapida titolazione può rappresentare un vantaggio, considerando che la necessità di un rapido cambiamento terapeutico o del trattamento di crisi subentranti sono, in questi pazienti, tutt’altro che infrequenti”.
Gli effetti sulle comorbidità come quella psichiatrica o cognitiva, di frequente riscontro in questa popolazione di pazienti, hanno inoltre un “ruolo importante” nella selezione di un farmaco e fanno propendere per l’impiego di molecole con bassa probabilità di peggioramento delle performance cognitive e di eventi avversi psichiatrici. “In caso di fallimento della prima monoterapia la scelta di passare a una monoterapia alternativa o a una politerapia segue i criteri validi in altre tipologie di epilessia. In caso di politerapia- ha spiegato inoltre la neurologa- dovrebbe essere preferita l’associazione di farmaci con meccanismi di azione diversi sia per incrementare l’effetto sinergico e la possibilità di un controllo delle crisi epilettiche sia per ridurre il rischio di eventi avversi”. Per quanto riguarda la possibilità di sospendere la terapia, non sono disponibili evidenze, ma questo “può essere valutato in relazione alla prognosi tumorale, a una lunga libertà da crisi con stabilità clinica, in presenza di eventi avversi intollerabili e secondo la volontà del paziente, una volta correttamente informato sull’alta probabilità di recidiva clinica. Altri studi- ha concluso infine la dottoressa Rosati- sono necessari per chiarire come la scelta dei farmaci anticrisi e la loro eventuale sospensione possa influenzare la crescita tumorale e di conseguenza l’epilettogenesi”.
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