Gentili ospiti, autorità civili e militari, grazie per aver accettato il nostro invito a partecipare al ricordo di un momento così tragico della vita cittadina, tragedia condivisa peraltro con tante altre comunità vicine e meno vicine.
Eccellenza Reverendissima, caro Arcivescovo, cari Parroci, grazie anche a voi per esserci vicini e per aver voluto, insieme a noi, impreziosire questa giornata con la partecipazione delle statue dei nostri santi patroni Giovanni ed Erasmo, vi ringrazio laicamente per l’apporto millenario che offrite alla comunità cittadina, unendola nei momenti belli ma anche in quelli tragici, come questo che stiamo ricordando e dando forza a tante persone, a tante famiglie per superare le avversità, anche quelle più atroci.
Senza la vostra presenza la manifestazione di oggi, 18 maggio, sarebbe stata più povera, le sarebbe mancato il nucleo portante della nostra formianità, oggi allargati a quanti , e sono decine di migliaia, hanno scelto di vivere a Formia.
Perché oggi, a settanta anni di distanza, sentiamo ancora così forte l’esigenza di ricordare tutti insieme?
Io credo che tale bisogno nasca dalla consapevolezza che mai, nella storia della città, un evento sia stato portatore di tanto dolore e di tanta distruzione.
Eppure, come la storia racconta e insegna, la nostra città, le cui origini affondano duemilacinquecento anni e oltre addietro, di lutti e devastazioni ne ha subite altre, e tutte le volte ha dovuto ricominciare.
Ma gli eventi che hanno riguardato Formia tra il settembre 43 e il maggio 44, sia pure concentrati in soli nove mesi, contennero in se una carica distruttiva micidiale : le tecnologie belliche, sperimentate in quella circostanza, su scala mondiale, non permisero scampo alle popolazioni che, loro malgrado vi erano interessate.
La stessa fuga dal centro cittadino, ordinata dal comando tedesco il 12 settembre 1943, consentì di mettersi in salvo solo ad alcuni che non vennero colpiti per pura casualità e costretti a vivere un interminabile inverno senza alcuna protezione, se non il tetto di una mandria, o una grotta, e a nutrirsi con ciò che la terra in quei mesi offriva, e cioè praticamente poco o nulla.
E a chi tentava di superare le linee di difesa tedesche per raggiungere luoghi più sicuri toccarono deportazioni, fucilazioni, angherie di ogni genere.
Dal cielo e dal mare i bombardamenti furono incessanti, gli alleati non riuscendo a sfondare la linea Gustav, hanno martoriato la nostra città rendendola un cumulo di macerie : una città fiorente, ricca di infrastrutture importanti, dal porto costruito poco più di 10 anni prima, alla stazione ferroviaria inaugurata 20 anni prima, alle scuole di ogni ordine e grado (il nostro liceo classico era stato, con grande orgoglio e sacrificio dei cittadini, costruito circa 15 anni prima) al vasto insediamento di strutture (le fabbriche di laterizi Salid e D’Agostino, il pastificio Paone) e di servizi (la clinica del Prof. Tommaso Costa).
Ecco, questa città resa fiorente dall’impegno dei suoi cittadini, dall’iniziativa dei suoi imprenditori, finisce all’improvviso nell’abisso della distruzione per una guerra folle, dichiarata da folli incapaci di comprendere dove ci avrebbe condotto una politica di vanagloria, di prepotenza e di odio per intere etnie e per tanti nazioni e popoli,.
Ma tant’è : la nostra comunità, insieme a tante altre fu coinvolta in un meccanismo orrendo, capace di procurare insieme alla distruzione cittadina, 1567 morti, di cui 1412 civili e 155 militari ( i nostri giovani, chiamati a combattere), senza contare i dispersi, tanti, e i circa 1000 invalidi permanenti.
Negli anni successivi le mine di cui i tedeschi avevano abbondantemente disseminato il nostro territorio, per terra e per mare, procurarono ulteriori morti, insieme alle malattie che trovarono in tanti corpi debilitati, un terreno facile da aggredire e colpire.
Ci furono episodi che, per la loro gravità, voglio ricordare a che nessuno possa dimenticarsene: il bombardamento di Piazza Risorgimento, quello di Santa Maria la Noce e del Ponte di Rialto, quello di Trivio; l’eccidio nazista della località Costarella, vile episodio di barbara violenza esibita solo al fine di intimorire, guidati dalla logica colpirne alcuni per educarne tanti, la stessa che portò all’eccidio delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di S. Anna di Stazzema solo per citare i più conosciuti.
Alle stesse fucilazioni individuali, quale quella di Ernesto Ribaud, giovane formiano che aspirava alla libertà e trovò la morte per mano nazifascista nella galleria della ferrovia di Formia. Così come trovarono la morte A. Ricca e Aurelio Pampena uccisi nella frazione di Maranola.
A Ernesto Ribaud è intitolata la sala del consiglio comunale, è lui che vogliamo indicare ai nostri giovani come simbolo di libertà, democrazia e pace.
Ciascuno di noi, certamente tutti quelli della mia generazione, hanno ascoltato nelle proprie famiglie i racconti della guerra: i bambini e i ragazzi di allora, che sono i nonni di oggi e tanti non ci sono più, lo facevano avendo scolpito in volto il terrore delle bombe, delle rappresaglie, della miseria, della fame e della morte che diventarono compagni di ogni momento del vivere quotidiano.
Tutto questo per nove, lunghissimi mesi.
Pensate solo per un momento all’angoscia che devono aver vissuto i bambini, gli anziani, le persone più deboli ed esposte; in queste circostanze, ogni bomba che esplode colpisce, oltre che nel corpo, nell’anima e lascia ferite profonde, che non si rimargineranno mai.
Lo dico a voi in particolare, bambini e ragazzi delle scuole di Formia: conservate vivo il valore della pace, impegnatevi nel praticarlo, allontanate da voi anche solo la tentazione che la guerra possa risolvere i problemi tra gli Stati: quando ciò accade, e nella circostanza della seconda guerra mondiale l’intervento bellico degli alleati si è rilevato inevitabile, il prezzo da pagare è elevatissimo.
Quando, il 18 maggio di allora, le truppe americane dopo aver sfondato la linea Gustav entrarono a Formia, lo scenario era di desolazione e di morte.
Una città ridente, luogo di vacanze ambito dalla borghesia di Roma e di Napoli, ricca di testimonianze archeologiche e di bellezze ambientali straordinarie, era ridotta a un cumulo informe di macerie.
La sinergia tra i bombardamenti alleati e l’opera di distruzione sistematica dei tedeschi per impedire l’avanzata delle truppe anglo-americane, avevano prodotto come risultato un immane e informe deserto.
I primi cittadini che, rientrati a Formia dallo sfollamento, stentarono a riconoscere i luoghi che gli erano abituali: eppure, erano passati appena nove mesi da quando li avevano dovuti abbandonare.
Ma pur tra tanti lutti e tragedie, ci fu uno scatto collettivo di orgoglio, dettato dalla necessità di riprendere una vita normale.
Dobbiamo molto a quella generazione; se Formia è diventata quella che oggi è, lo dobbiamo soprattutto a loro che non aspettarono neanche un attimo per riprendere la ricostruzione.
Gli anni 40 e 50 furono anni durissimi ma anche pieni di passione: la ricostruzione del sistema infrastrutturale, insieme all’impegno di singoli per ricostruire le abitazioni, le attività di lavoro, i luoghi della vita collettiva avevano prodotto un vero e proprio miracolo.
La nostra richiesta al Capo dello Stato di trasformazione della nostra medaglia d’argento in medaglia d’oro vuole sottolineare e premiare soprattutto questo impegno: quello cioè del “POST FATA RESURGO” scritta nel nostro gonfalone.
Agli Amministratori di allora, che operarono in condizioni certamente più difficili delle nostre, va tutto il nostro riconoscimento per quanto hanno saputo fare, i Sindaci del dopoguerra, voglio citarli tutti:
Fino al dott. Giovanni Matteis, il più giovane dei vecchi Sindaci che non ci sono più e che oggi è tra noi e salutiamo con grande affetto, a tutti loro va una gratitudine sincera per il loro impegno.
Molti nostri concittadini furono costretti alla emigrazione in alcuni paesi Europei ma soprattutto verso gli Stati Uniti:
Anche a loro va, in questa giornata, il nostro saluto affettuoso.
E permettetemi di ricordare, in questa circostanza, un nostro concittadino illustre, Giuseppe Tallini, più conosciuto come GINILLAT, che instancabilmente si prodigò per accogliere, aiutare, sostenere i tanti che arrivavano negli Usa carichi solo della loro disperazione.
Oggi Formia è una città moderna, dinamica, quasi quattro volte più popolosa di quella uscita distrutta dalla guerra.
La sua crescita demografica ha profondamente mutato il tessuto sociale e culturale originario.
Alle famiglie tradizionali di Castellone e Mola, delle frazioni, si sono aggiunti nuclei familiari provenienti dalle Regioni e dalle città vicine: i nostri cognomi si sono mescolati, le culture si sono intrecciate: niente è più come allora, e questo credo sia un bene. Lo stesso dialetto si sta trasformando, e vive oggi più che altro nella appassionata ricerca di pochi studiosi.
Spesso mi viene da pensare che la sfida della globalizzazione di cui oggi si fa un gran parlare, a Formia abbiamo cominciato a sperimentarla già dagli anni ’60.
Gli innesti di nuovi cittadini hanno reso ancora più dinamico il nostro tessuto sociale ed economico: hanno anche, per la verità, determinato alcuni problemi dai quali dobbiamo difenderci tenendo sempre alto il vessillo della legalità e della tolleranza.
Al secondo posto per reddito individuale dopo il Comune capoluogo, Formia è ricca di attività imprenditoriali e di servizio.
Sente la crisi economica come tutti, ma sarà capace di uscirne con le sue forze, con il nostro impegno individuale e collettivo per superare definitivamente la piaga della disoccupazione e della mancanza di lavoro per i giovani avendo ben chiari quali sono i suoi punti di forza: le bellezze del suo territorio, ambientali e culturali, uno straordinario patrimonio archeologico che stiamo sempre più e sempre meglio valorizzando, la forza oggettiva del suo tessuto imprenditoriale, la qualità dei servizi che offre: dal dopoguerra in poi, la costante crescita demografica, oggi temperata da giusti meccanismi di equilibrio e di controllo, mostra l’appetibilità di questa nostra città diventata ormai il punto di riferimento più importante del sud della provincia di Latina e dell’intera Regione Lazio.
Cari concittadini, Autorità presenti, grazie ancora per questa presenza così attenta, così partecipe.
Grazie ai ragazzi delle nostre scuole; mi piace pensare che una giornata come quella di oggi possa restare nella loro mente per il valore che essa ha: un ricordo e una testimonianza ancora presente di ciò che ciascuno di noi deve impegnarsi a non fare mai più e cioé regolare i nostri rapporti con la violenza, di qualsiasi natura, ma con il dialogo, la tolleranza e la solidarietà.
70 anni fa, in queste stesse ore, sotto questo palazzo comunale e davanti a questo monumento ai caduti passarono carri armati americani che liberarono la città.
Un ringraziamento lo dobbiamo doverosamente anche a loro:
senza il loro intervento, senza il sacrificio dei loro militari oggi l’Europa non sarebbe quello che è sia pur tra tante difficoltà e problemi ancora irrisolti, l’Europa unita ci ha procurato 70 anni di pace.
Per la prima volta nella storia dell’occidente intere generazioni non hanno conosciuto la guerra: spesso lo sottovalutiamo, forse perché non abbiamo conosciuto gli orrori della guerra.
Anche per questo una giornata come quella odierna è di grande importanza: consideratela come il richiamo di una vaccinazione avvenuta nel 43/44 necessaria per rendere gli anticorpi sempre attivi e capaci di difenderci individualmente e collettivamente.
E infine,
grazie Formia per quello che sei oggi.
per le straordinarie bellezze che ancora ci mostri, per come hai gelosamente conservato nel sottosuolo le tue vestigia per regalarcele dopo migliaia di anni.
Per la cultura che ci hai trasmesso e che ci unisce al di là delle tante differenze individuali.
E scusaci per non aver saputo evitare la tua distruzione: lo facciamo noi oggi peri responsabili di allora, che erano uomini come noi, vittime e carnefici di un meccanismo odioso di intolleranza e di morte.
Noi, tutti insieme, prendiamo un impegno solenne: che non accadrà mai più e tu, Formia, potrai inondarci con le tue straordinarie risorse, consentendoci benessere e pace per tutti.
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