“Riutilizzare totalmente i beni confiscati richiesti e assegnati al Comune è una priorità che intendiamo onorare. Ma le intenzioni e le buone pratiche attivate si scontrano ogni giorno con un contesto legislativo e fattuale che pone ostacoli continui e ritarda, nostro malgrado, la realizzazione dei progetti”. Così il Sindaco Sandro Bartolomeo e la Delegata alla Legalità Patrizia Menanno sul tema dei beni confiscati alla criminalità organizzata, più volte oggetto dell’attenzione dei media. Il riferimento è in particolare all’ex albergo-discoteca “Marina di Castellone”, confiscato alla camorra ma ancora in attesa d’essere assegnato.
“Nel maggio 2013 – spiega il tandem Bartolomeo-Menanno – il bene è stato sottoposto a confisca definitiva da parte della Corte di Cassazione ma è tuttora in attesa d’assegnazione da parte dell’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati, a causa di un concomitante procedimento penale che è ancora sub iudice di I grado. Ciò, di fatto, paralizza la sua destinazione. La normativa, senz’altro all’avanguardia a livello europeo, presenta però criticità a volte insormontabili. Pur volendo ottenere l’assegnazione del bene, l’Amministrazione dovrà in tutta probabilità attendere l’esito anche di questo secondo giudizio, con sentenza che dovrà passare definitivamente in giudicato. Nel frattempo il bene continuerà a deteriorarsi e i danni saranno così ingenti che nessun bilancio comunale potrà mai porvi rimedio. Abbiamo sollecitato l’intervento degli organi preposti che oggi detengono la gestione del bene. Abbiamo loro inviato relazioni tecniche ed esiti di sopralluoghi corredati di reperti fotografici, tanto da spingere l’Amministratrice Giudiziaria e l’Autorità penale ad emanare nello scorso anno un avviso pubblico finalizzato a reperire eventuali soggetti interessati alla gestione e riqualificazione del sito. Naturalmente, dietro corrispettivo di canoni. Pare che nessuno abbia risposto e questo riapre la possibilità di avere il bene in gestione, anche temporanea. Il problema è economico. Quand’anche tale ipotesi si verificasse, come potrebbe il Comune far fronte alle somme che serviranno per rendere agibile e produttiva la struttura? I fondi della soppressa ABECOL non dovrebbero forse essere utilizzati anche per situazioni di questo tipo? Oppure un bene confiscato è inevitabilmente condannato al declino? Sarebbe un pessimo segnale. Tra le forme di reimpiego non sarebbe quindi giusto inserire la demolizione di tali beni, eliminando, anche fisicamente, le tracce del radicamento mafioso su questo territorio?”
Bartolomeo e Menanno citano anche un’altra situazione, definendola “anomala”, forse “unica in Italia”. “Accanto alle cinque unità abitative confiscate in via Unità d’Italia ve n’è una sesta che la magistratura ha espressamente escluso dalla confisca, attualmente occupata da membri della stessa famiglia a cui sono stati alienati gli altri beni. Da un anno a questa parte – spiegano -, tecnici, operai, ditte affidatarie di lavori e gli stessi assegnatari degli alloggi, in certificato stato di bisogno, dopo qualche giorno dall’incarico o dalla presa di possesso, senza alcuna plausibile motivazione e senza fornire giustificazioni, ‘rinunciano’ in maniera espressa o tacita all’assegnazione. Di tali comportamenti, il Comune non può che prendere atto e riavviare l’iter per nuove assegnazioni e nuovi affidamenti che comportano ancora mesi di burocrazia. Quello che ci sentiamo però di dire ai cittadini è che ci batteremo fino all’ultimo giorno del nostro mandato per ripristinare la legalità violata. In una città come Formia – concludono – questo non può che passare per la piena occupazione dei beni confiscati”.
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