Formia, la storia di Eelena di Savoia raccontata dalla televisione russa

Non è la prima volta che la televisione russa, grazie anche ad un convegno dove il nome di Formia verrà pronunciato grazie ad una illustre ospite di tanti anni fa, viene a Formia. Infatti nel 2017 c’è stato un progetto dove due documentari vennero trasmessi in tutta la Russia attraverso la mediazione culturale della giornalista russa Natalia Jaboklova, dove in particolare la dottoressa e ionsegnante universitaria, autrice tra l’latro di due romanzi sulla sotria di Cicerone, di cui il secondo, Ceasar, è di recentissma pubblicazione, i telespettatori russi hanno potuto ammirare in quella occasione i resti della villa romana di Caposele e il sito del mausoleo detto “Tomba di Cicerone”.

A questo progetto dovevano poi seguire delle situazioni importanti che dovevano portare a Formia dei turisti russi, ma la folle e miope politica turistica e culturale dell’amministrazione Villa questo non lo ha permesso, perché hanno voluto giocare sulla Commedia Italia e una raffazzonata edizione delle Notti di Cicerone, senza comprendere che la Russia ha un bacino d’utenza importante di persone desiderose di vedere i nostri siti archeologici.

Ma in questi giorni una ripresa condotta da alcuni operatori ha permesso di nuovo di creare un ponte, speriamo duraturo, tra la città di Formia e San Pietroburgo. Infatti, una delle residenze preferite da una delle regine del Regno d’Italia è stato lo scanrio di questo nuovo progetto che culminerà il 15 dicembre in un convegno a san PietroBurgo dove si parlerà di Elena di Savoia. Perché la pricipessa Njegos, poi diventata per matrimonio una Savoia, e quindi italiana, ha un forte legame con Formia? Perché queata era la residenza prediletta della regina di origine montenegrina che spesso veniva e soggiornava per lunghi periodi nellameno luogo profumato di “aranci e limoni”, come soleva dire l’artista Miele parlando del suo paese natio.

Il direttore del Grande Albero Miramare, Antonio Celletti, ha voluto far da “Cicerone” all’ospite illustre della giornata, che è poi quello che ha spiegato quale è il senso intimo di questo legame. Si tratta del capitano di Vascello Ugo D’Atri presidente nazione dell’Istituto della Guardia d’Onore delle tombe reali del Pantheon, il più antico istututo combattenstistico d’Italia, nato nel 1878, quasi subito la morte di Vittorio Emanuele II, il primo Re d’Italia dopo l’unificazione avvenuta nel 1861, un “Padre della Patria” e tra i protagonisti, se non quello più importante del Risorgimento italiano, portandolo ad essere una nazione unita. Questo istituto è stato fondato da un gruppo di ufficiali che hanno combattuto nelle guerre risorgimentali, che deciseso all’istante di prestare un servizio di guardia d’onore a queste sepulture regali per onorare la memoria del re Vittorio Emanuele II e dei suoi discendenti.

L’amministrazione comunale di Roma aveva deciso, con una apposita delibera, di seppellire in questo monumento, prima tempio pagano (Pantheon significa “casa degli dei”), poi divenatata chiesa cristiana, e qui poi venne seppellito l’illustre pittore Raffaello Sanzio. Le tombe reali presenti in questo capolavoro dell’architettura romana sono quelle di Vittorio Emanuele II, di suo figlio Umberto I e di sua moglie la regina Margherita. Gli altri Savoia, per i fatti storici avvenuti nel secolo scorso, sono sepolti in altri luoghi che sono della chiese dove gli avi di questa famiglia hanno lasciato delle tracce importanti del loro governo.

L’istituto, che ha delegazioni in tutto il paese ed anche sei all’estero, è sottoposto alla vigilanza amministrativa del Ministero della Difesa, e fa parte di Assoarma, che è il consiglio nazionale permanente tra le associazioni d’arma che raggruppa 37 associazioni d’arma nazionali, che tutti insieme contano circa un milione di aderenti. Vittorio Emanuele III e la Regina Elena sono sepolti da circa tre anni a Vicoforte. L’obiettivo dell’Istituto è quello di prtare tutti i sovrani del Regno d’Italia al Pantheon.

Elena di savoia è morta a Montpellier il 28 novembre del 1952, quasi 10 anni dopo la morte del marito avvenuta ad Alessandria d’Egitto, dopo l’abdicazione all’indomani della liberazione di Roma il 4 giugno del 1944 con l’assegnazione della “luogotenenza” a suo figlio che poi divenne per un mese l’ultimo Re d’Italia Umberto II. Formia è il lugo che ha ospitato frequentemente la Regina Elena, la quale a questa villa sul mare era particolarmente legata. Nella città del Golfo aveva una sua proprietà la contessa Iaccarino, l’amica di sempre della Regina Elena.

Le due donne si erano conosciute al collegio Smolny di San Pietroburgo dove ambedue hanno ricevuto una educazione pari al loro rango di nobildonne dell’epoca della Russia della famiglia Romanov, allora la dinastia degli zar regnanti in quella immensa nazione. Elena Petrovic Njegos era nata quattro anni dopo il principe di Napoli, il futuro re Vittorio Emanuele III, esattamente nel 1873 a Cettinje, l’antica capitale del rengo del Montenegro, figlia del principe Nicola, poi diventuo re del Montenegro regnando per circa otto anni, e di Milena Vukotic, la quale coppia ha avuto 12 figli, nove femmine ( tra le quali appunto nacque Elena) e tre maschi. Il Montenegro ha partecipato alla Prima Guerra Mondiale come alleato dell’Intesa, ma le sue aspettative di nazione vennero tradite dopo la fine della “Grande Guerra” quando venne ingloabato in quello che nel 1921 era il regno dei Serbi – Croati – Sloveni, poi ex Jugoslavia, uno stato artificiale creato da francesi e inglesi per contrastare l’Italia che, grazie a quel matromonio, divenne un suo stato satellite. Uno stato che è stato disintegrato dopo la caduta del Muro di berlino, ma prima ancora i sintomi della digragazione erano già presenti dopo la morte del presidente Josip Broz “Tito”, anche lui di origine montenegrina. Elena sposò nel 1896 l’allora principe Vittorio Emanuele, un matrimonio voluto dal re Umberto, ma abilmente pilotato dall’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Francesco Crispi. Lei era bella, alta 177 cm., 24 cm. più del suo consorte.

Lei, nel suo ruolo di regina, si fece amare divenendo famosa con l’appellativo di “madre degli italiani”, per i tanti episodi di bontà e solidarietà di cui è stata protagonista. Lei è stata in prima linea ed ha favorito, grazie alle sue amicizie giovanili nella Russia zarista, l’arrivo dei primi soccorsi in quel catrastofico terremoto che ha raso al suolo le città di Messina e di Reggio Calabria il 28 dicembre del 1908. In quella circostanza arrivarono per primi i russi, grazie alla flotta presente stabilmente sul mar Ionio grazie a degli accordi internazionali. Ma non solo: lei stessa, presidentessa allora della Croce Rossa, si adoperò in prima persona per gli aiuti ai superstiti delle due città. Così come si ricorda la sua attività di crocerossina delle due guerre mondiali. Lei cercò di evitare, ma senza successo, il conflitto mondiale scrivendo a sei regine regnanti in tutta Europa, ma la follia nazista ormai si era impadronita del continente, appoggiato anche dal suo maestro, poi diventato suo amico e alleato Benito Mussolini.

Attulamente la defunta e amata regina è Serva di Dio, in attesa di un suo riconoscimento canonico per diventare Venerabile, registrando la sua vita di carità e diaiouto al prossimo. Si ricorda anmche come la fondatrice dell’attuale Airc, benemerita associazione che si occupa della ricerca per combattere contro i tumori, di cui lei setssa morì all’età di 79 anni. Non solo l’appassionato racconto del capitano di vascello è stato interessante, am cnhe due brevi tesimoniane fornite da due fomiani.

La prima è quella di Salvatore Bartolomeo, noto artista che ha riportato indietro l’orologio della storia a quando era ragazzo, quando si andavano a raccogliere le cozze agli “Scogli della Regina”, che è in realtà la scoglieraal largo della spiaggia sotto il Grande Alberrgo Miramare. La seconda testimonianza è stata quella di Marghierita Agresti, la proprietaria di quella che è stata “La Libreria di Margherita”, raccontando la storia di sua nonna Margherita, che abitava di fronte alla residenza della regina Elena. Lei era abile nei lavori di satoria, ed aveva avuto l’onore di preparare vestiti per tutta la famiglia reale chaimata direttamente dalla regina. Il suo primo lavoro venne pagato non in moneta, ma un bellissimo vassoio con lo stemma reale. Questa donna ne rimase contentissima, perché aveva ricevuto un dono prezioso. Lei ha lavorato per loro per molto tempo ed è una testimonainza preziosa per Formia. Le cose avute dalla famiglia reale sono andate perdute dopo i bombardamenti del settembre 1942 degli Alleati.

Gli ultimi due interventi di questo ritorno alle radici del nostro territorio sono stati appunto gli artifici di questa ricerca. Il primo, quello di Natalia Jablokova, che ha sottolineato come ha conosciuto l’aintica residenza reale estiva formiana dei Savoia, scoprendo in questa ricerca aiutata dal regista Ascanio Guerriero tantissime cose importanti, tra cui l’antica amicizia con la contessa Iaccarino ai tempi dell’istituto Smolny della città di San Pietroburgo. Sono legami sotrici importanti da ricordare in questo periodo di pandemia dove le distanze impediscono la normale fruizione della cultura, perchè la ricerca storica, quando è fatta con imparzialità e non con il rancore di anrtichi sovrani deposti, unisce i popoli. L’ultimo intervento, di colui che ha messo in piedi tutto questo meccanismo, è di Ascanio Guerriero, regista e fine uomo di cultura, il quale non ha nascosto la sua emozione per essere stati presenti in questo luogo dove si è fatta un pezzo di storia d’Italia, legati alla presenza della regina Elena di Savoia, in compagnia del comandante Ugo D’Atri e degli altri osptiti che hanno portato la loro testimonianza.

Lo scopo è quello di portare avanti un’opera paziente di ricostruzione dei “fili spezzati”, che sono legati alla presenza della famiglia reale nella città di Formia, oltre allo scopo di esplorare i legami della regina, già principessa Njegos, con l’ambinete culturale russo di fine Ottocento, e con l’istituto Smolny, di cui le fu una brillantissima allieva quando era ragazza.

Pietro Zangrillo

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