Riceviamo e pubblichiamo quanto dichiarato dal Comitato di Cittadinanza Attiva Gaeta.
“Eravamo ormai convinti di conoscere tutte le diverse sfaccettature dell’abusivismo sul pubblico demanio marittimo, visto che le cronache quotidiane le avevano sempre associate alle consuete forme comportamentali dell’occupazione arbitraria per “fini commerciali” o “realizzazione di opere edilizie”, ma, da oggi, l’argomento si arricchisce di altra fattispecie, perché, oltre alle anzidette forme d’illecito, esiste anche l’abusivismo per “preminente interesse ai fini della SICUREZZA e della DIFESA NAZIONALE”.
Non è uno scherzo, ma è quanto di fatto accade sulla spiaggia di Serapo a Gaeta, all’interno del lido balneare all’insegna “Stabilimento Militare”, struttura che da più di 15 anni, caso più unico che raro a livello mondiale, ha saputo innovare la comune e tradizionale imprenditoria stagionale balneare, qualificandola come attività svolta per finalità militari nell’esclusivo interesse della difesa della Patria.
La storia nazionale ci ha consegnato pagine indimenticabili della guerra combattuta in trincea sul Carso, o nella Russia sterminata. Però, a nessuno, fino ad ora, era mai venuto in mente che ci potessero essere atti di eroismo a difesa dell’amor Patria nostra stando comodamente seduti sulla spiaggia mentre ci si abbronza al sol leone.
Ed è per questo che, su quell’area ove esiste lo stabilimento balneare, i cittadini italiani (e di Gaeta) non vedranno mai uscire carri armati Leopard, o decollare F/24 o elicotteri d’assalto, ma, rileveranno al suo interno solo ombrelloni, lettini e cabine spogliatoio.
La vicenda, di per sé tragicomica, si compone di anomale zone d’ombra che, per più di 15 anni, hanno consentito in quell’area una totale assenza di controlli da parte delle locali Autorità preposte alla vigilanza, consentendo così ad un Associazione Ricreativa -senza scopo di lucro- costituita fra dipendenti civili della Difesa di Gaeta, di svolgere un’attività ricettiva balneare, per assurdo celata dietro quello pseudo e inconsistente profilo di “sicurezza e difesa nazionale”, tale da dar vita, nell’ambito, peraltro, di una vera e propria concorrenza sleale con gli operatori commerciali del settore, ad un fenomeno di evasione di tributi locali e canoni demaniali, sottacendo anche la realizzazione di consistenti abusi edilizi accertati da tecnici comunali.
Dunque, possibile che nessuno sapesse cosa accadeva all’interno di quest’area demaniale nel pieno centro della spiaggia di Serapo in Gaeta?
E’ proprio su tali controversi aspetti che gli accertatori hanno lavorato, arrivando a configurare, nei confronti della stessa Associazione, conclamate violazioni dei vincoli paesaggistici, nonché degli artt. 34 e 1161 del Codice della Navigazione e dell’art. 36 del suo Regolamento di attuazione, oltre che arbitrarie occupazioni di demanio ed innovazioni abusive su quel tratto di spiaggia.
Tale è l’immissione abusiva in una concessione d’uso demaniale non ratificata dalla competente Autorità, profilo d’illecito evidentemente ben mascherato dalla prefata Associazione, visto che il fenomeno era sfuggito anche al controllo della locale Capitaneria di Porto, quale Autorità marittima che, nel luglio del 2000, aveva assegnato quell’area demaniale ad altro soggetto sotto forma di “Consegna” ai sensi dell’art. 34 del CdN, modalità questa prevista per le Amministrazioni dello Stato, mentre le indagini hanno documentato e rubricato l’uso a favore di altro soggetto che, in quanto non Pubblica Amministrazione, non poteva utilizzare detta forma giuridica.
Va da sé che le suddette “anomalie” avrebbero dovuto condurre ad un ritiro, ovvero, ad una naturale dichiarazione di decadenza dei titoli in base ai quali la surrichiamata Associazione gestisce lo stabilimento balneare militare, anche in considerazione delle opere abusive ivi accertate dagli organi tecnici comunali che concretano un reato permanente, e si attende, ora, che la competente Autorità Marittima agisca di conseguenza.
Di certo la cittadinanza continuerà a vigilare sulla vicenda, auspicando che chi di dovere non operi disparità di trattamento.”
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