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#Gaeta, apertura della #PortaSanta: l’Omelia dell’Arcivescovo

Carissimi,
abbiamo aperto la Porta Santa nello scenario solenne dell’androne del Campanile. Ma questa Porta Santa è piccolo segno e piccolo simbolo del cuore aperto e sconfinato di Dio, sempre ricco di misericordia per tutti; alla domanda “chi è Dio?” potremmo ben rispondere “Colui che fa Misericordia”.

Pensate: il contenuto essenziale di tutto il Vangelo ci mostra Gesù, la Misericordia fatta carne, che continuamente si commuove sulla miseria e infermità dell’uomo, tanto che gli Atti degli Apostoli definiscono l’agire di Gesù come: “Passò beneficando e sanando tutti”.

Abbiamo varcato la Porta Santa figura simbolica del nostro desiderio di migliorarci e di convertirci. E Giovanni il Battista, nel Vangelo ascoltato, dinanzi all’interrogativo ripetuto delle varie fasce di persone “Che dobbiamo fare?” concretizza la conversione, la esemplifica e la induce nel quotidiano e la applica alle situazioni particolari delle diverse categorie di persone.

Il Battista raccomanda alle folle l’amore fraterno e la condivisione. Agli esattori delle tasse di essere giusti e di non lasciarsi corrompere. Ai soldati di non abusare della loro forza, di non fare prepotenze e ingiustizie. Il Precursore non dice di rinunciare al proprio mestiere, ma raccomanda di farlo bene. La conversione allora consiste anzitutto nel fare bene il proprio lavoro e questo rivelerà un cuore convertito e rinnovato.

Vedete quanto Dio ci ama! È il Padre che copre con le sue mani il figlio prodigo, che in definitiva siamo un po’ tutti noi, come mostra bene il quadro di Rembrandt. Dal peccato del primo uomo l’amore di Dio si è SEMPRE rivestito con l’abito della misericordia.

Così nel dipinto, il padre anziano accoglie il figlio giovane ed esuberante, con un gesto amorevole e protettivo.

Il figlio: vestito di stracci logori, è in ginocchio; aveva chiesto la sua eredità, la sua vita da vivere a modo suo, ed ha trovato umiliazione e morte!

Il vestito dimostra la sua vita: disordinata, strappata, lacerata e in miseria estrema.

La testa rasata da una parte è indice di omologazione e prigionia, ma evoca anche la testa di un bambino neonato. Il figlio, infatti, inginocchiato, è in atteggiamento penitente: «Padre, ho peccato», ma appoggia il suo capo nel «grembo del padre», nel grembo della sua misericordia per una nuova rinascita.

Gli occhi del padre sono gli occhi di un cieco. Intima e commovente è questa pennellata: il padre ha consumato i suoi occhi a forza di scrutare l’orizzonte in attesa del ritorno del figlio, e i suoi occhi, per le tante lacrime versate, sono ridotti alla cecità.

Ma sono le mani del padre il centro del dipinto: su di esse si concentra tutta la luce e in esse si incarna la misericordia. Non sono uguali, una è maschile (robusta, forte, muscolosa ch protegge e difende) ed una è femminile (tenera, delicata, che accarezza). Così attraverso le mani si svela il volto paterno e materno di Dio: Dio è Padre, Dio è Madre.

Le mani che abbracciano e toccano le spalle del figlio sono strumento dell’occhio interiore del padre. Attraverso queste mani il padre afferma di «vedere»: il tatto sostituisce la vista. Dio vede lo smarrimento di donne e uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, sente compassione per quelli, che hanno scelto andarsene da casa.

Le sue mani non trattengono, ma accolgono e benedicono: in latino la parola benedicere letteralmente significa “dire cose buone”. Il Padre vuole dire, più col tocco che con la voce, buone cose ai suoi figli. Non desidera punire, ma abbracciare per dare inizio a una nuova storia di amore.

Dio non può amare che perdonando; cosicché la più grande gioia di Dio è perdonare poiché il suo solo modo di amarci è di essere misericordioso, di essere fedele al suo amore del primo momento nel Paradiso terrestre.

L’uomo può cessare di essere figlio ma Dio non processare di essere Padre. Dio rimane infinitamente Padre, indefinitamente Padre.

La vera e unica porta regale, dalla quale l’amore di Dio zampilla verso di noi, è quella del cuore del suo Figlio Gesù, trafitto sulla croce. È là che si trova la porta santa, così la porta giubilare la si trova nel sacramento della Confessione: è qui che ritorniamo davvero alla casa del Padre e siamo di nuovo stretti dal suo abbraccio.

Felice chi, avendo scoperto questa sorgente di amore, non se ne distacca più!

Felice chi, bevendo a questa sorgente di amore, sente la sete crescere nell’istante stesso in cui sembra appagata!

Felice chi non può contenere la sua gioia e va a gridare l’amore del Padre: c’è per tutti l’Anno della misericordia, c’è per tutti l’Anno del perdono, c’è per tutti l’Anno della riconciliazione con Dio e i propri fratelli.

Amen! 

Foto Marco Casciaro.

   

  

redazione

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