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I giorni della quarantena

“Basta la salute” si dice spesso con tono consolatorio, quasi a voler sminuire il valore che la salute occupa nella nostra vita, come a voler dire “meglio questo che niente”.
Eppure, questa epidemia, anzi ora pandemia, forse ci ha fatto capire quanto lo stato di salute del singolo individuo si rifletta in realtà, direttamente e indirettamente, nella vita degli altri e come arrivi a coinvolgere, per non dire travolgere, anche settori apparentemente lontani e imparagonabili al benessere sociale.
Cosa c’entra l’influenza con l’attività commerciale? Cosa c’entra la polmonite con i servizi di ristorazione? Fino a qualche settimana avremmo tutti risposto immediatamente “niente”; e invece, adesso questo virus, che quotidianamente si espande a macchia d’olio in modo incontrollabile, imprevedibile e, purtroppo, incurabile, in tutto il mondo, ha spinto il cittadino comune a fare un bel ripasso e/o studio dei principi base di cittadinanza e Costituzione.
Ogni giorno uno dei nostri più importanti diritti viene represso, ivi compreso il diritto-dovere al lavoro, principio cardine sul quale si basa tutta la nostra Costituzione: dobbiamo adattarci al lavoro c.d. agile, ci dicono: telelavoro, lavoro a distanza, video conferenze, scambio di informazioni e documenti via email o, laddove questo non è possibile, dobbiamo addirittura astenerci dal lavoro; per effetto dei nuovi provvedimenti governativi viene compressa la nostra libertà di circolazione, di espressione: quando ci impongono di stare a distanza l’uno dall’altro, di non abbandonarci a gesti d’affetto spontanei, di rimodulare i tempi e i modi di acquisto dei beni primari.
Persino il diritto sacro all’istruzione passa, in questo momento, in secondo piano.
Le conseguenze, per non dire i disastri che questa pandemia ha portato è porterà con sé pesano a caro prezzo sulla vita sociale, umana, economica e logistica di tutto il Paese.
Per un tempo ancora indeterminato il Paese si ferma e si chiude in se stesso mettendo in ginocchio la grande e piccola economia, le scuole, gli ospedali e il sistema sanitario che si è scoperto (solo oggi!) realmente inefficiente e inadeguato sul suo aspetto formale ma, fortunatamente non sostanziale per la qualità e la volontà del personale che ci lavora.
Il corona virus divide ancor di più le famiglie separate, che si passano i figli da una parte all’altra con l’autocertificazione; abbandona i bambini delle case famiglia, per i quali sono sospesi visite e colloqui; lascia a terra i genitori adottivi, pronti con le loro valigie cariche di doni e di speranze ad abbracciare i loro bambini.
Tutto ciò in ragione della tutela di un diritto: quello di stare bene; perché un cittadino che sta bene è un cittadino che può lavorare, che può creare una famiglia, che può aprire un attività, offrire servizi, condividere spazi.
Il diritto alla salute dunque è l’unico che ha il diritto di comprimere gli altri diritti.
Tuttavia, nonostante l’ora più buia che sta vivendo l’Italia, la comunità cerca di ottimizzare mezzi e risorse per sentirsi meno sola. Un sentimento, quello della solitudine e dell’estraneità di cui tutti oggi stanno facendo esperienza, di cui spesso si parla, ma altrettanto spesso non si conosce. Forse questo momento in cui tutti siamo chiamati a fermarci sarà l’opportunità per capire e rivalutare alcuni principi del nostro ordinamento giuridico ma anche molti valori della nostra scala sociale e tante priorità della nostra vita quotidiana.
Alessia Maria Di Biase

redazione

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