Il cardinale di origini itrane che, in procinto di essere elevato al soglio pontificio, supplicò i colleghi di astenersi dal votarlo. E’ il biglietto da visita con cui si presenta il beato Paolo Burali d’Arezzo, originario di Itri, dove nacque il 1511, e deceduto a Napoli nel 1578. Tuto quello che ebbe a vivere in questo lasso di tempo è contenuto nell’opera “L’uomo diviso. La vita del cardinale Paolo Burali d’Arezzo” di Giovanni Burali d’Arezzo, suo lontano discendente, pubblicazione edita per i tipi di “Ali Ribelli”. Venerdi sera, il libro verrà presentato presso la corte comunale, alle ore 21,00, dove l’autore interloquirà con Orazio La Rocca, vaticanista di “Repubblica” e con Andrea Petrillo (artista), mentre Simone Perini leggerà alcuni passi dell’opera. Modererà il tutto il prof. salvatore Mazziotti, assessore alla Cultura. Per l’autore, Giovanni Burali d’Arezzo, docente di Materie letterarie in quel di Torino e saggista, si tratta del frutto della nuova produzione letteraria, che fa seguito a pubblicazioni tanto apprezzate. Il personaggio trattato spicca per una vocazione alla semplicità esistenziale, sulla scia della vita morigerata del santo poverello di Assisi. Avviato alla vita sacerdotale contro la sua volontà, nonostante la sua convinta fede, operò nei primi quaranta anni, nell’ambiente laicale, distinguendosi per le sue non comuni qualità culturali e per gli incarichi rivestititi che lo videro, da avvocato, diplomatico del vicerè di Napoli, che si avvalse della sua lungimirante consulenza. Proprio per queste sue attitudini venne nominato “Uditore generale dell’esercito”, carica che gli consentiva di disporre della vita o della morte di soldati inadempienti al loro dovere o poco fedeli alla corona. Quando, però, il regno di Napoli dichiarò guerra al Pontefice (conflitto mai tradotto in combattimento reale) lasciò l’incarico e andò via da Napoli, rifugiandosi a Itri nella Valle di Itri, dove, per la sua forte venerazione alla Madonna della Civita, che troneggia, con il suo santuario sulla vicina sommità di monte Fusco, ispirò la sua vita al culto per la Vergine nera che la tradizione vuole dipinta dall’evangelista Luca e sfuggita, grazie al coraggio di due monaci basiliani, alla lotta iconoclastica messa in atto dall’imperatore di Costantinopoli, Leone Isaurico. Ma il re partenopeo non gli dette pace e inviò un drappello di soldati che lo rintracciarono in quelle campagne di Itri, lo legarono e lo riportarono nella città flegrea. Fu a quel punto che decise, a quaranta e passa anni, di votarsi alla vita sacerdotale, entrando nell’ordine dei Teatini. Dopo aver rivestito per otto anni l’incarico di vescovo di Piacenza, operò nella diocesi di Napoli e, nello stesso tempo, fu consigliere di papa Gregorio XIII, supportandolo nel suo corso di Laurea in Giurisprudenza all’università di Bologna. E proprio in quegli anni, nel conclave indetto per l’elezione del nuovo pontefice, avendo avuto sentore della confluenza dei voti sul suo nome, supplicò i colleghi di astenersi dal votarlo. Da cardinale, sempre bardato con vestimenti semplici e poveri e alimentandosi con scarsità di cibo, svolse il suo umanissimo ruolo pastorale, fortemente votato alla causa dei poveri, nella realtà campana e, purtroppo, colpito in testa dalla caduta accidentale dalla trave di una finestra, in quel di Torre del Greco, iniziarono le sue traversie quotidiane che, a causa anche del fisico debilitato da una malnutrizione, lo condussero, nel 1578 alla sua morte, cui seguì, duecento anni dopo, la sua beatificazione che vede, ancora oggi, la sua immagine raffigurata nella volta della chiesa del santuario della Madonna della Civita di Itri, insieme alle icone dei papi e delle figure storiche di spessore che hanno raggiunto il sacro santuario mariano nel corso dei secoli.