“Con l’ultimo ritocco di metà settembre dello 0,25% – il decimo consecutivo – la Bce ha portato i tassi d’interesse ai livelli più alti di sempre. Oggi il tasso di rifinanziamento principale si attesta al 4,5%, quello sui depositi al 4% e quello sui prestiti marginali al 4,75%. Le banche hanno inasprito le condizioni di concessione dei finanziamenti. Gli ultimi dati della Banca d’Italia mostrano un calo dei prestiti alle imprese e una riduzione di quelli per le famiglie. I tassi pesano anche per lo Stato, a causa degli interessi che dovrà corrispondere sul debito pubblico. La spesa per interessi potrebbe collocarsi intorno ai 100 miliardi di euro (40 miliardi in più rispetto al 2020). Nelle aste di Bot e i Btp i rendimenti medi sono arrivati al 3,94%. Giancarlo Giorgetti, titolare del MEF, ha ipotizzato che l’aumento dei tassi sottragga alla prossima manovra 14/15 miliardi di euro”. A fare il quadro è Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A., nel nuovo appuntamento con la sua rubrica ‘Crea valore’ con l’agenzia Dire, curata da Angelica Bianco. “Un impatto fondamentale è sui mutui- scrive- Una rata del mutuo variabile da 456 euro iniziali potrebbe arrivare a toccare i 759 euro, in crescita del 66% rispetto all’inizio del 2022 (fonte: Facile.it). Le richieste di mutuo a tasso variabile sono crollate rispetto al primo trimestre dell’anno dal 14,7% al 5,3% e ci si può aspettare che il tasso fisso, la scelta più sicura, continuerà a rappresentare oltre il 90% delle richieste fino a fine anno (fonte: Mutuionline.it). I tassi dei nuovi mutui variabili potrebbero arrivare verso il 7% dallo 0,6% di fine 2021. Per un prestito ventennale da 150.000 euro la rata mensilesarà di 1.180 euro, ben 515 euro in più (+77,4%) rispetto a quella che si sarebbe ottenuta due anni fa (fonte: Fabi). A proposito di mutui, vorrei qui segnalare la proposta di Maria Cristina Sandrin a favore del mutuo di scopo. L’esperta sottolinea che sia per il mutuo fondiario che per l’ipotecario non è previsto che la somma erogata dal mutuante sia destinata ad una specifica finalità, elemento che invece identifica e caratterizza il mutuo di scopo. In quest’ultimo a prevalere è la finalità della somma erogata, al punto da incidere sulla causa del contratto, che diventa nullo in caso di utilizzo delle somme per altri scopi. Nel mutuo di scopo la componente degli interessi che viene concordata fra le parti, ha per le stesse un peso diverso rispetto agli interessi trattati nel mutuo fondiario e ipotecario. Ed è proprio questa differenza di peso degli interessi rispetto alla finalità di utilizzo delle somme, che, a parere della Sandrin, la chiave risolutiva al rialzo dei tassi di interesse variabile che ha messo in crisi le famiglie”. “Il diverso approccio nei confronti del tasso di interesse che sussiste nel mutuo di scopo- continua Livolsi- potrebbe agevolare un accordo con gli istituti di credito per stabilire un tasso fisso da applicare al mutuo di scopo destinato all’acquisto della prima casa, che andrebbe adeguato di anno in anno in base all’andamento dell’inflazione. Il problema va tuttavia inquadrato nel contesto generale. I banchieri centrali e le autorità di bilancio hanno alimentato l’illusione che anni di espansione monetaria senza precedenti, di tassi di interessi a zero o negativi, di disavanzi pubblici in continuo aumento non avrebbero provocato danni. Il rischio, come teme il Governo italiano, è che la decisione della Bce raffreddi ancor più l’economia già in crisi spingendola in recessione. In un certo senso l’Istituto di Francoforte fa il suo mestiere. L’obiettivo di riportare al 2% l’inflazione – 5,4% in agosto secondo l’Istat – è condivisibile”. “Per completezza- prosegue- è da segnalare che la settimana scorsa la Fed ha lasciato i tassi invariati – il livello più alto da 22 anni – pur lasciando aperta la possibilità di un altro rialzo a fine anno. Dall’altra parte, l’inflazione è una minaccia insidiosa per i cittadini, perché colpisce in un modo subdolo, soprattutto i ceti meno abbienti e i pensionati. Il Governo potrebbe tornare a confidare sul ruolo delle banche rispetto alle quali pesa la tassa sugli extraprofitti. Dopo l’annuncio del prelievo – che però sarà in parte modificato – motivato proprio dai maggiori guadagni fatti grazie al rialzo dei tassi, l’Esecutivo si attende un atteggiamento più collaborativo dal sistema bancario, dai cui comportamenti pratici dipenderà l’impatto concreto sull’economia del nuovo rialzo dei tassi. Il Governo considera l’imposta – ancora da definire – un buon deterrente per evitare inasprimenti eccessivi del credito e un nuovo aumento della forbice tra tassi attivi e passivi”. “La via di uscita, come sostengo da tempo- dice ancora Livolsi- sono le riforme che facilitano le imprese a fare il loro lavoro, creare occupazione, garantire salari dignitosi, rendere sostenibile il debito, attrarre investimenti. Le riforme sono quelle della digitalizzazione, della pubblica amministrazione, del fisco, della sanità, della scuola e della concorrenza. Per fare questo bisogna però fare i conti con l’Europa. Dopo il via libera della Commissione europea alla terza rata del Pnrr, l’Italia riceverà 18,5 miliardi di euro. Una cifra poco lontana dai 25 miliardi della manovra di bilancio, il che la dice lunga su quanto siano importanti i soldi del Pnrr per il nostro Paese. Il ritardo della terza rata – che avrebbe dovuta essere rendicontata e pagata sei mesi fa – conferma che esistono delle difficoltà. Per superare tali ostacoli è necessario cercare di assecondare l’Unione europea, a partire dal Mes e dal nuovo Patto di stabilità. Rispetto al primo fa bene sperare che il Mef abbia dichiarato che la sua riforma non spinge verso la ristrutturazione del debito e che non aumenta nemmeno il rischio percepito dai mercati sui nostri titoli di Stato”. “Circa il secondo, la Commissione europea, cui compete la proposta di revisione del Patto, ha sostanzialmente accettato l’impostazione italo-francese. Il progetto non solo cancella le regole pro-cicliche, ma riconosce che le condizioni sono diverse da un Paese all’altro e non prevede come il vecchio Patto regole uguali per tutti. Inoltre, consente periodi di riduzioni del debito, che possono estendersi fino a sette anni se il Paese si impegna ad attuare un programma di riforme. Delle buone premesse per fare ripartire l’Italia con il via libera dell’Europa ci sono” conclude.
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