Il riscaldamento globale galoppa “a una velocità più alta del previsto”. Per questo “non basta solo ridurre le emissioni”, ma occorre puntare sul “sequestro della CO2” dall’atmosfera. E per farlo, l’unico metodo “realizzabile” è quello offerto in maniera naturale dalle foreste. Che dunque vanno “gestite bene: non è sufficiente piantare nuovi alberi. Vanno curati, non abbandonati. Lo dico anche alla politica”. È il monito lanciato da Riccardo Valentini, ordinario di Ecologia forestale all’Università della Tuscia e premio Nobel per la pace nel 2007, che ieri ha aperto la cerimonia di inaugurazione del 214esimo anno accademico dell’Accademia nazionale di Agricoltura a Bologna. “Al 2030 avremo comunque 1,5 gradi in più di temperatura, qualunque cosa facciamo- segnala Valentini- il nostro futuro è segnato, dovremo adattarci e mettere in sicurezza il sistema agricolo ed economico. Ma servono investimenti a breve termine, non possiamo più aspettare: avverrà tutto tra 10 anni”.
Lo scienziato spiega come ci sia “una correlazione diretta tra le tonnellate di CO2 immesse in atmosfera e l’aumento della tamperatura. Per questo si parla di ‘carbon neutrality’ e questo obiettivo va raggiunto in breve termine, cioè entro il 2050, per poter arrivare a fine secolo con un incremento di temperatura stabilizzato intorno a 1,5 gradi”. Per farlo, afferma Valentini sentito dalla ‘Dire’, “non dobbiamo solo ridurre le emissioni, ma anche assorbire il carbonio per compensarlo e azzerarlo“. Ad oggi le tecnologie di sequestro del carbonio sono “difficilmente realizzabili”, quindi l’unico metodo “sono le foreste“. Le emissioni di CO2 in atmosfera, spiega lo studioso, sono dovute per l’86% alle industrie e per il 14% dalla deforestazione tropicale. Di queste però, il 46% resta in atmosfera mentre il 31% già oggi viene riassorbito dalle foreste e il 23% dagli oceani.
Dal 2005 al 2021, solo in Italia, le foreste hanno aumentato la quantità di carbonio sequestrato. Ma non basta, avverte Valentini. “Vanno gestite bene- sollecita- piantare nuovi alberi non è sufficiente: vanno curati e non abbandonati”. Inoltre, occorre “gestire bene le foreste che già abbiamo, altrimenti rischiamo di perderle a causa di patogeni o incendi: lasciare un bosco senza toccarlo significa trasformarlo in una ‘bomba’ di carbonio”. Dagli studi fatti sulle piante, sottolinea lo studioso, si è visto che “la potatura è un mezzo per risparmiare risorse idriche. Si può quindi calibrare il management degli alberi con la potatura risparmiando acqua e mantenendo la capacità di assorbire il carbonio”. Da questo punto di vista, anche l’agricoltura “è una grande opportunità”, pur essendo responsabile a livello globale del 37% delle emissioni del gas serra, considerando non solo la produzione ma anche packaging, trasporto e smaltimento rifiuti.
“Con le buone pratiche in agricoltura si possono ridurre le emissioni e aumentare l’assorbimento– spiega Valentini- i frutteti, ad esempio, sono sostenibili in partenza per l’alta capacità di sequestrare il carbonio”. Nel frattempo, anche per effetto della ‘carbon tax’ adottata dalla Ue su prodotti esteri come fertilizzanti, alluminio, acciaio, elettricità e cemento, sta crescendo il mercato dei crediti forestali per compensare le produzioni più energivore e ottenere il bollino verde. “È un problema che va regolamentato- avverte Valentini- la situazione è caotica, per l’utilizzo delle foreste per i crediti non ci sono regolamentazioni”. Contro questo ‘green washing’, l’idea di Valentini è creare distretti agricolo-zootecnico-forestali che si compensano da soli. A Viterbo è stato realizzato un primo caso studio e si è visto che “l’impatto agricolo e zootecnico è più che compensanto dalle buone pratiche forestali”
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