In effetti non è un mistero che la colomba venne inventata negli Anni Trenta del secolo scorso dal geniale Dino Villani (pubblicitario, pittore, incisore e critico d’arte), allora direttore della pubblicità della Motta, con lo scopo di ‘replicare’ in occasione della Pasqua il successo natalizio del panettone. Quanto ai dolci di tradizione, che Chef Rubio promuove in blocco, vanno dalla pastiera napoletana, alla cassata siciliana, dalla scarcella pugliese alla cuzzupa calabrese, dalla casadina sarda al tortano di Pasqua di Gaeta, dalla zambela romagnola alla pasimata lucchese e via risalendo lo stivale fino alla pinza triestina.
“Sia chiaro, io non disdegno la colomba, ma quella artigianale, reinterpretata da maestri della lievitazione. Lo stesso discorso vale per il panettone. Da quando ho assaggiato colombe artigianali ‘vere’, fatte bene, quelle industriali – insiste Chef Rubio – non le ho più mangiate, neanche quando si sbocconcella qualcosa fra una mano di carte e l’altra, come succede durante le feste a tavola sparecchiata“.
Quanto alle sue, di fortune, Chef Rubio le deve allo street food, protagonista indiscusso di ‘Unti e bisunti’ nella prima stagione e nella seconda che comincia domani, prima puntata a Bari, eppure questo non vuol dire che per lui il cibo di strada sia sempre e comunque da promuovere: “Si moltiplicano chioschi e chioschetti ma più in una logica americana che italiana e non sempre propongono cose buone. Lo street food o presunto tale è sempre più spesso riproposto da piccoli imprenditori che lo declinano come gli conviene“, afferma.
Stesso discorso per il ‘made in Italy‘, e qui Chef Rubio mira al bersaglio grosso, ovvero la catena Eataly di Oscar Farinetti che, afferma, “con il cibo non c’entra niente. Farinetti è semplicemente un imprenditore ed Eataly è una cattedrale nel deserto in un’Italia piena di materie prime eccellenti che non hanno nessun ponte per arrivare al popolo e che quella catena tratta in un’ottica esclusivamente commerciale. Si insegue un ‘made in Italy’ che fa bene ai grandi imprenditori ma non fa bene all’Italia“.
Il ‘made in Italy’ da lunedì Chef Rubio tornerà a declinarlo a modo suo, strada per strada, caracollando con il passo del rugbista che è stato davvero, allo scoperta di una cucina ‘povera’ locale. A Bari “ho trovato il polpo crudo, sbattuto sugli scogli e mangiato crudo, retaggi della cultura veneta come la polenta fritta, gioielli come i panzerotti con mozzerella e pomodoro oppure il riso patate e cozze. Bella cucina in una bella città dove non ero mai stato“, riassume.
Chef Rubio sottolinea poi, ridacchiando, che anche la produzione ha avuto i suoi vantaggi: “Se è vero che la curiosità dei passanti, molto maggiore che nella scorsa edizione, rallentava un po’ il lavoro, credo che la maggiore visibilità abbia fatto risparmiare un bel po’ alla produzione. Molte cose fra cibo e alloggio ci sono state offerte, molte porte ci sono state aperte, tutto è stato più facile“. La gara con un ‘professionista’ dello street food concluderà ogni puntata ma “non è una gara vera” afferma lui che delle gare ‘vere’ al centro di altri format tv ha una pessima opinione: “La televisione in realtà non la guardo ma qualcosa di quei programmi l’ho pescato su internet e proprio non li condivido. La cucina per me è condivisione mentre quelli sono spazi dedicati all’annientamento della persona, di stampo americano. Se mi chiedessero di fare un programma del genere mi interesserebbe solo se fosse un contest costruttivo e non distruttivo, con degli amanti della cucina e non degli aspiranti ‘capi’. In quel caso potrei anche metterci la faccia“.
adnkronos
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