Ha scalato la vetta comodamente seduto sulla “Joelette”, una speciale carrozzella fuoristrada che somiglia ad un richò. Fu inventata da un alpinista francese, Joel Claudel, desideroso di condividere la passione per la montagna con il figlio disabile. Il progetto fu brevettato e oggi la carrozzella è prodotta a livello industriale. Leggera, monoruota, è dotata di sospensione e freno. E’ trainata abitualmente da due accompagnatori mediante appositi bracci posti sia davanti che dietro. Eventualmente, può aggiungersi anche una terza ed una quarta persona che, con l’ausilio di una fune, possono trainare la carrozzella nei tratti di maggiore pendenza. La “Joelette” è adatta a tutti i sentieri, anche quelli più scoscesi, purché non presentino strettoie o sequenze di gradini più alti di 40-50 centimetri. Il Cai se n’è dotato in varie sezioni ma servono risorse perché l’esperimento vada a regime. “Si può fare – spiega Francesco, uno degli accompagnatori -. Basta un po’ d’olio di gomito. Ma vedere Luca felice ripaga d’ogni sforzo”.
L’escursione è partita alle prime ore del mattino. Appuntamento al mercato di Largo Paone dove ad accogliere il gruppo c’era anche Luigi De Santis, delegato del Comune. Foto di gruppo e partenza. Con gli attivisti del Cai, gambe e polmoni allenati alle asprezze della montagna; e i ragazzi di un centro diurno di Ceccano, accompagnati dai loro educatori. Perché questa è la meraviglia del progetto: camminare insieme, respirare la montagna, scoprire la fatica della salita e la soddisfazione della vetta. Oltre i propri limiti, perché “l’accessibilità è un diritto degli uomini e, come tale, va garantito a tutti”.
L’allegra comitiva è salita in auto fino alla “Valliera”. Montata la “Joelette”, ha avviato l’escursione attraverso il sentiero n. 962 b. Durante il cammino, uno dei ragazzi del centro diurno si è avvicinato agli accompagnatori: “Scusi – ha chiesto -, posso portarla anche io?” “Devi” – gli hanno risposto -. Una mano in più può sempre servire”. Non l’ha più lasciata, fino al Redentore, 1252 metri sul livello del mare. All’ombra della statua che domina la città di Formia, il gruppo si è rifocillato e ha ammirato dall’alto il profilo del Golfo. Un panorama che la gente di qui conosce e ama. Ma che Luca e gli altri non avevano mai visto.
Il cammino è proseguito fino all’eremo di San Michele, oasi di misticismo incastonata tra le rocce di Monte Altino. La statua del Santo è lì da pochi giorni, portata in spalla dai fedeli nel corso della tradizionale, affollata processione lungo i sentieri degli Aurunci. Un altro sguardo al panorama, poi il ritorno alla base. I polmoni gonfi d’aria buona e il cuore d’orgoglio. L’esperimento è riuscito. Non resta che farne tesoro e avviare insieme un discorso più ampio. Perché la montagna si trasformi davvero in una risorsa.
Anche di umanità. E di giustizia.
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