“Nel corso di una ricognizione per la compilazione della carta archeologica del territorio di Itri e Gaeta, in località S. Giacomo, ai piedi del Monte Cefalo, al confine fra i territori dei citati Comuni, mi è capitato di imbattermi nelle strutture superstiti di un’imponente villa romana, che mostra tuttora, in una delle concamerazioni, la testimonianza della sua trasformazione in un sacello pagano”.
Era il 1979 quando Marisa De Spagnolis pubblicava una piccola monografia su “Il mitreo di Itri”, impiantatosi nel II secolo d. C. sui resti di una grandiosa villa a terrazze datata al I secolo d. C.
Ambienti sostruttivi in opera reticolata, in parte utilizzati come cisterne, già allora in precarie condizioni di conservazione. La conoscenza di quel sito, la documentazione di dettaglio dell’esistente, non ha comportato alcun tipo di tutela. Nessun tentativo di valorizzazione. Così, a distanza di trentasei anni dalla divulgazione, ogni cosa è com’era. Quasi. All’abbandono si è aggiunta la minaccia. Quella della cava Cardi. Sempre più vicina all’area archeologica. Fino a metterne a repentaglio la conservazione.
Basterebbe già questo per gridare, sperando che qualcuno ascolti e provveda. Insomma che sorvegli il sito, mettendolo in salvo. Il problema è che anche la cava sembra a rischio. Constato che l’estrazione di calcare è vicina alla conclusione, la proprietà, nel novembre 2010, ha presentato alla Direzione Regionale Ambiente Area Rifiuti Regionale un progetto di riconversione dell’invaso in “impianto di recupero di rifiuti non pericolosi”. Ne sono seguite procedure di integrazione della documentazione fino all’aprile 2011 quando ottiene il parere positivo dell’Area Difesa del Suolo e Concessioni Demaniali e, successivamente, al febbraio 2012 quando l’Area Valutazione impatto ambientale e valutazione ambientale strategica della Direzione Regionale Ambiente concede la sua autorizzazione.
Il 24 giugno 2013 il progetto conclude il suo iter dopo aver incassato l’ok della Regione Lazio. La discarica per il recupero di rifiuti inerti, “congruente con la destinazione urbanistica del PRG comunale”, decisa. Fine della storia? Certo che no. Perché a questo punto insorgono diversi associazioni e comitati locali, a partire dal Comitato Monte Bucefalo.
La preoccupazione che la falda acquifera sottostante l’area della cava possa essere inquinata e quindi provocarsi un autentico disastro ambientale, legittima. Intanto continua l’estrazione all’interno della cava. Il rischio che l’area archeologica venga ulteriormente marginalizzata, appare concreto. In salvo, ma quasi a contatto con un cratere di rifiuti. Insomma uno stravolgimento irragionevole del Paesaggio.
Così i resti antichi e la cava sembrano davvero destinati a trasformarsi nell’ennesima occasione persa. Il paradigma dell’abbandono per i monumenti del passato e del riutilizzo scriteriato per tante cave, ripetuto. Inopinatamente. Troppo spesso la pianificazione dei territori pervicacemente praticata con colpevole trascuratezza. Il dubbio che non si tratti solo di diffuse incapacità appare legittimo.
fonte: articolo di Manlio Lilli Il Fatto Quotidiano