Di Orazio Ruggieri.
Ancora una altro prezioso tassello per una più completa conoscenza di Itri e delle vicende storiche che l’hanno coinvolta. E’ il contributo che giunge dalla recente pubblicazione curata da Paolo Manzi e che porta il titolo “A peste, fame et bello, libera nos, Domine. La battaglia di Itri” per i tipi dell’Associazione Archeologica Ytri. “In questo libro –esordisce Max Bonelli in una interessante nota introduttiva- si entra in una Itri leggendaria e nello stesso tempo reale. Per il turista o l’abitante di questo tranquillo borgo all’ombra di un castello particolare con la sua forma a tripode, il passeggiare è un susseguirsi di frequenti incontri con resti della storia di questo antico paese. Mancava un racconto che desse voce a questi piccoli capolavori di arte edile che tentavano da anni di mettersi in comunicazione con il viandante. “Nella battaglia di Ytri” l’autore trasforma il sibilo del vento che attraversa le pietre di un mondo di chiese, cinte murarie, paesaggi naturali in una storia. Evoca dissapori che dividono genti tanto vicine sotto ogni aspetto e lo rielabora in un racconto intenso per il susseguirsi degli eventi, immerge il lettore in anni sanguinosi e prepotenti dove saper maneggiare la spada era ben più importante della buona educazione. Anni quelli della prima metà del 1300, dove il tradimento ed il cambio di fazione era all’ordine del giorno così come le lotte fratricide.
Qualcuno potrà commentare che grandi passi avanti nella vita politica italiana non se ne sono fatti da quei tempi e forse il suo motteggiare ha di certo qualche fondamento. In questo racconto tra storia e fantasia, il confine non è mai netto e nonostante i frequenti riferimenti storici su cui poggia, la vena fantastica a volte prende il sopravvento e ci permette di immaginare i visi dei personaggi e sovrapporli sia nei tratti che negli atteggiamenti con abitanti del luogo. Vorrei porre all’attenzione dell’incipiente lettore, l’amore, che s’intravede in questa lettura, nella propria terra da parte dell’autore. Paolo Manzi come molti itrani (tra cui il sottoscritto) ha conosciuto la nostalgia della sua terra in quanto emigrante e la lontananza impreziosisce, mitizza posti, profumi, accenti, ingigantisce mancanze che solo il ritorno ai luoghi di origine può soddisfare nella sua interezza. Solo chi è stato in volontario ma forzato esilio può riscoprire la bellezza di un profumo, la nostalgia di un paesaggio che spesso –conclude Bonelli- sfugge all’assuefazione di chi non ne ha mai subita la mancanza”.
Anche da Alfredo Saccoccio, figura ormai conclamata della critica e della ricerca storica, oltre che autore di decine di opere tutte mirabilmente apprezzate, sono giunte valutazioni recensive che nobilitano il pregevole lavoro del Manzi. Eccole: “L’itrano Paolo Manzi è uno scrittore di grande valenza, dotato di uno stile asciutto e di pagine mai banali, mai superflue, ma essenziali all’economia del testo, godibilissimo e ricchissimo quanto al lessico e alla struttura, in cui il rigore e la sorveglianza, aliena da qualsiasi sottolineatura o concessione sentimentale, non producono in nessun caso sensazioni di estraneità o di freddezza. Il volume “…A peste, fame et bello, libera nos, Domine…- La battaglia di Ytri”, si articola in dieci capitoli, in cui si fornisce al lettore una sintesi documentata e lineare di uno spaccato storico, del XIV secolo, nell’odierno Lazio meridionale. Il primo segue le vicende tragiche di Gaeta contro Itri. In esso si parla della controversia dell’ “Anno Domini 1338”, che vide i contadini gaetani e i pastori itrani in lite per un “tenimento” tra loro confinante. I gaetani, armatisi fino ai denti, marciarono su Itri con un gran numero di soldati incendiando e devastando il paese.
Allora i reggitori della “cosa pubblica” di Itri chiesero aiuto al conte di Fondi, Nicolò I Caetani, che organizzò prontamente un’armata che inflisse una batosta all’esercito gaetano. Molti caddero suoi prigionieri e finirono tutti rinchiusi nelle carceri di Fondi. Il re di Napoli, Roberto d’Angiò, premiò il coraggio ed il valore dimostrati in battaglia dall’indomabile condottiero con il Cingolo d’Oro. I capitoli II, III e IV delineano la prepotente ascesa dei Caetani nella contea di Fondi e nelle terre della Campagna e della Marittima e viene descritta altresì la discesa dalla Francia e la conseguente conquista del regno di Napoli da parte della grande famiglia D’Angiò. Il Manzi tratta con una meticolosità quasi “scientifica” i caotici e tragici eventi degli anni 1343, 1345, 1346. In quest’ultimo anno avvenne la battaglia di Ytri. Il conte di Fondi, forte dell’appoggio del re d’Ungheria, si ribella e sconfigge l’esercito della regina di Napoli. Rispecchia la ferocia e la mentalità dei tempi la vicenda della morte di Jacopo Faraone, che venne impiccato da morto. I prigionieri gaetani tornarono liberi solo pagando un forte riscatto, ammontante a oltre 3000 once d’oro. A quelli che non potettero pagare furono amputate le membra, mani o piedi, o tagliati il naso o la lingua o le orecchie. Nel V capitolo emerge una chiave di lettura dell’intera opera. Viene tradotta liberamente una pergamena del Codex Caietanus. Con la domanda “servi di chi?” vengono introdotte le ribellioni e le lotte per la libertà che i contadini intrapresero. Le pagini del C.D.C. e il racconto del processo riescono, ancora oggi, a rendere attuali le passioni che agitarono i cuori dei protagonisti, più di mille anni fa. L’arringa del vescovo di Traetto, Andrea, è esemplare. Riesce a dare giustizia a tutte le parti in causa. I contadini ottengono la libertà ma a caro prezzo. Le ultime vicende del conte di Fondi vengono trattate con sintesi veloce, quasi da corrispondente di guerra.
Interessante il settimo capitolo, riguardante la peste, o meglio la “peste nera” la celebre peste, magistralmente descritta da Giovanni Boccaccio nel “Decameron”. Puntuale il riferimento alla pergamena del Codex Caietanus in cui viene tratteggiato l’edificazione della chiesa di S.Cristoforo a Itri. Negli ultimi capitoli la concezione francescana della vita influenza l’uomo nuovo che emerge dalle ceneri della tragedia. La riflessione sulle opere del creato lo porteranno ad una nuova civiltà. La violenza, la distruzione lasciano spazio al cambiamento dell’uomo che usa il cervello per la riflessione e per la ragione a servizio della comunità. Nell’importante “lavoro” di Paolo Manzi, degno di attenzione, perché si tratta di una ricognizione ampia ed esauriente della storia delle nostre terre, scorrono le pagine autentiche di vita dei centri del basso Lazio, le travagliate e cruente vicende storiche di alcune comunità e di alcuni personaggi indimenticabili. L’opera, che mantiene una sua unità stilistica e concettuale si distingue per la ricchezza delle fonti consultate dallo studioso aurunco negli archivi e nelle biblioteche di Napoli, di Roma, di Caserta e di Gaeta, Fondi, si legge con piacere. Sono mille rivoli di conoscenza e di riferimenti documentali, di notevole interesse, fatti conoscere dall’autore con dovizia di particolari dandoci uno “spaccato” dei Comuni dell’attuale provincia di Latina. La lettura scorre –conclude Saccoccio-agile e veloce, grazie a un linguaggio estremamente chiaro e comprensibile”. Significativo il commento anche della dott. Ssa Rosa Corretti, la quale, dopo aver divorato, con attenta e completa dovizia di particolari sottolineati, si è espressa con un giudizio che ci piace ribadire di condividere “in toto”: <Complimenti. Sia per l’importante ricerca storica che per il tono narrativo. Avvincente quanto “Il nome della rosa“ di Eco>.
Molto seguita la presentazione, venerdi 7 luglio alle ore 201,30 presso l’aula consiliare di Itri.