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Primo Piano

La Cannabis light è legale? Da quando e come si è evoluta la legge

Rispondiamo subito alla domanda: sì, la Cannabis light è legale così come tutti i prodotti a base di CBD. Tuttavia, la legge che li regolamenta presenta punti oscuri che lasciano spazio a diverse interpretazioni. Una legge poco chiara, si sa, diventa subito oggetto di discussioni, anche accese, da parte dei lavoratori di settore, che auspicano una maggiore stabilità e sicurezza. Una legge che si è evoluta nel tempo, da quando la cannabis era ancora demonizzata, fino ad oggi, che ritorna ad essere parte integrante dell’economia italiana ed internazionale. Ritorna, sì, perché negli anni ‘40 la coltivazione di canapa in Italia, reggeva da sola un terzo dell’economia del Paese. Ma procediamo con ordine e chiariamo innanzitutto quando la Cannabis viene definita light.

Cos’è la Cannabis light

Con il termine “Cannabis light” si indica quella varietà di Cannabis sativa (L., 1785) il cui contenuto di Δ9-tetraidrocannabinolo (il famoso e famigerato THC, per intenderci) è inferiore allo 0,2% e con un contenuto di cannabidiolo (CBD) molto più elevato. Proprio per la sua insignificante concentrazione di THC, questa varietà di canapa è legale in molti Paesi, e di conseguenza è possibile acquistare la cannabis legale in Italia online.

Per quanto riguarda i suoi effetti, possiamo stare tranquilli in quanto non è attiva dal punto di vista psicotropo (non “sballa”), ma le reazioni al suo utilizzo possono cambiare a seconda della predisposizione dei singoli soggetti e dalla varietà assunta.

In linea generale, la Cannabis light ha effetti rilassanti e antidolorifici, può essere utilizzata per alleviare stati d’ansia, insonnia e altri disturbi più o meno lievi, come dolori muscolari o stati depressivi.

Proprio le sue caratteristiche, che inducono innegabili benefici psico-fisici, l’hanno resa uno dei prodotti più commercializzati. Proprio per questo c’è assoluto bisogno di chiarezza anche in ambito legislativo.

Il problema attuale della normativa italiana

In Italia, la Cannabis sativa è sottoposta a un duplice regime normativo: da un lato è considerata pianta agricola e industriale, e il suo uso è regolamentato dalla Legge 242 del 2dicembre 2016, (“Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”). E’ il testo di riferimento che disciplina, in Italia, la produzione di canapa industriale; la legge si applica unicamente alle varietà ammesse nel Catalogo comune delle Varietà di specie delle piante agricole ottenute tramite sementi certificate.

Dall’altro lato, secondo il DPR 309/1990, qualsiasi varietà di canapa, indipendentemente dal suo tenore di THC, quanto a foglie, fiori, oli e resine, è classificata come pianta da droga dal Testo Unico Stupefacenti. Fa eccezione la “canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali consentiti dalla normativa dell’Unione europea” secondo l’articolo 14 del decreto sopra citato.

Vedete quindi l’ambiguità di cui si è accennato all’inizio di questo articolo: una duplice interpretazione riguardo gli usi illeciti e non illeciti della pianta.

Infatti, per un verso la legge 242 dichiara che le varietà ammesse nel Catalogo comune “non rientrano” nell’ambito di applicazione del Testo Unico Stupefacenti (art.1, comma 2).

Quindi se ne dovrebbe dedurre che si può coltivare, trasformare e commercializzare qualsiasi parte della pianta in tutta sicurezza, senza incorrere nei reati penali previsti dal Testo Unico Stupefacenti, rispettando ovviamente le normative specifiche dei settori di utilizzo (tipo alimentare, cosmetico e così via); come peraltro ritenuto dalla giurisprudenza, infatti, sono le destinazioni di utilizzo tassativamente elencate dall’art. 2 della legge 242 a rendere lecita la filiera.

Per l’altro verso, tuttavia, il Testo Unico Stupefacenti, come si è visto, riconosce l’eccezione solo “per la produzione di fibre o per altri usi industriali consentiti dalla normativa dell’Unione europea”.

Il problema centrale è che né la normativa italiana né quella europea citano espressamente le infiorescenze tra le parti utilizzabili, pur non proibendole esplicitamente. Per dare un’idea di cosa significhi questa omissione nel contesto attuale del mercato mondiale, è come se si

consentisse l’allevamento vaccino, senza però riconoscerne la produzione di latte. Una contraddizione bella e buona.

Convenzione unica sugli stupefacenti

Tutti i problemi sono da imputare Convenzione Unica Stupefacenti, varata dall’ONU a New York nel 1961 e tuttora in vigore (recepita in Italia dalla L. 412 5 giugno 1974).

La Convenzione definisce ‘Cannabis’ (nella terminologia anglosassone ‘pianta da droga’) “le sommità fiorite o fruttifere della pianta di cannabis (esclusi i semi e le foglie che non siano uniti agli apici) la cui resina non sia stata estratta, qualunque sia la loro applicazione” (art.1).

Ma anche la Convenzione cade nell’ambiguità quando dichiara, all’art.28, che le sue disposizioni non si applicano “alla coltivazione della pianta di cannabis fatta a scopi esclusivamente industriali (fibre e semi) o di orticoltura”.

Ammettiamo che è stato fatto di tutto pur di rendere le cose difficili, ma a salvare la Cannabis ci pensa l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) che nel gennaio del 2019 invita l’ONU a modificare a modificare l’inquadramento della Cannabis nella Convenzione Unica, raccomandando:● di cancellare dalla Tabella IV degli Stupefacenti la Cannabis e le Resine di Cannabis,● di cancellare dalla Tabella I gli Estratti e le Tinture di Cannabis,● di riconoscere in una nota che “i preparati contenenti in predominanza Cannabidiolo e non più dello 0,2% di Δ9-Tetraidrocannabinolo non sono sotto controllo internazionale”.

A questo fa seguito la storica sentenza della Corte di Giustizia europea secondo cui “la commercializzazione di cannabis sativa L e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa non rientra nell’ambito dell’applicazione della Legge 242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole […]”.

Conclusioni

Tutti salvi, quindi, la canapa può essere commercializzata senza rischi negli store autorizzati.

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