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La cultura del viaggio: tra letteratura e filosofia

di Krizia Celano

L’umanità ha assistito nel corso della storia a migrazioni di massa per i vari continenti ed è impensabile che tutto ciò non abbia lasciato traccia nella comune memoria collettiva.
L’impulso a viaggiare è irrefrenabile, fa parte della natura umana, è una passione che divora e arricchisce allo stesso tempo dove gli innumerevoli scopi si intrecciano in una mappa mentale che ha come principio la voglia di conoscere ed apprendere: il mondo, gli altri, ed attraverso gli altri, se stessi.
Quando si pensa alla letteratura antica vengono in mente gli eroi che erano sottoposti a diversi viaggi per provare le loro proprie virtù e forze.
Questi ultimi, però, non erano compiuti volontariamente ma per la volontà degli dei.
Di solito si trattava della partenza di un eroe il quale era costretto a lasciare il proprio paese ed era sottoposto a diversi ostacoli attraverso i quali doveva assumere la saggezza, come, per esempio, nelle molteplici vicende narrate nell’Odissea di Omero.
Nel senso religioso il viaggio può rappresentare una vera e propria forma di penitenza e di purificazione, che avrebbe avuto origini già nella storia della creazione del mondo e della cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden.
Nel Medioevo tutto ciò si trasforma in pellegrinaggio, per ottenere il perdono da tutti i peccati del pellegrino.
La convinzione che viaggiare possa cambiare qualcosa nella vita si può notare anche nella letteratura moderna, in quanto i protagonisti moderni hanno la necessità di partire, di spostarsi. Il viaggio medievale, inoltre, è concepito come una sintesi della fede e dell’avventura militare.
Gli autori di questo tempo, per esempio, cercavano di avvicinare la religione ai lettori attraverso racconti fantastici come con le famose storie di Lancilotto o dei Cavalieri della Tavola Rotonda.
Un’opera particolare ed unica del Medioevo e della letteratura riguardante il viaggio è senza dubbio “la divina commedia” di Dante.
Dante stesso, infatti, si sottopone ad un itinerario metafisico influenzato dalla mitologia antica dove il tema del passaggio tra l’Inferno e il Paradiso è presente nella letteratura in diverse forme fino alla produzione contemporanea.
Nel Rinascimento, scoprendo la geografia come modo di cogliere conoscenze scientifiche e culturali, nasce una nuova forma del viaggiatore.
Si tratta di un individuo più moderno e più libero che ha come principio la “curiositas”, la quale sarà il fulcro del suo andare fino all’inizio dell’età moderna, in cui si può ricordare Johann Wolfgang Goethe, noto per il suo viaggio in Italia.
Nel Romanticismo, quest’esperienza viene concepita come un fenomeno ormai molto diffuso, per un uomo erudito è praticamente obbligatorio compiere almeno un viaggio di studio e si parla dell’epoca di cosiddetto “Grand Tour” di giovani studiosi europei.
I viaggiatori moderni, allora, diventano acuti osservatori, e gli osservatori sono spesso quelli che mettono le proprie esperienze sulla carta. In età contemporanea, invece, esso diventa azione volontaria e di piacere, non ha più le caratteristiche del passato, come quelle del cimento e della sofferenza.
Negli ultimi secoli, il “viaggiare” è diventato una fuga dell’individuo che desidera scoprire la propria umanità nel mondo tecnicizzatto e stressante.
Sempre più frequentemente le persone viaggiano per cercare la loro interiorità, lasciando nel luogo da cui partono tutte le ansie e preoccupazioni ordinarie per mettersi in gioco con qualcosa di più grande.
Per queste ultime, allora, partire è una vera e propria forma di rigenerazione ed analisi del sè, attraverso la quale molto spesso si arriva alla percezione di un senso della vita mai sperimentata prima.
E’ anche vero però che il viaggiatore non incontra solo aspetti positivi nel suo itinerario; chiunque cerchi di cambiare deve saper avere un grande senso dell’adattamento.
Quasi mai le culture coincidono alla perfezione, e ci troviamo di fronte a situazioni nelle quali non sappiamo come comportarci: è in quei momenti, allora, che si sente la vera essenza del viaggio ed in cui dobbiamo pensare che queste peculiarità saranno le vere forme di arricchimento culturale.
Spesso si tende a considerare la formazione teorica un passo più avanti della pratica, come se potessimo conoscere tutte le regole di un gioco al quale purtroppo non abbiamo mai giocato per davvero: non dobbiamo dimenticare, in questi casi, che il viaggio è la prima forma di pedagogia tangibile di cui si può far tesoro, poichè mette in pratica ciò che abbiamo imparato ma sopratutto ci dimostra che spesso non tutto è come immaginavamo.
Come viene spiegato nel “mito della caverna” di Platone, infatti, tutto può essere basato su un’apparenza che vogliono imprimerci dall’esterno: il saggio però, è colui capace di uscire dalla caverna delle convinzioni altrui e dei preoconcetti per lasciar spazio alla sperimentazione della “luce solare” , intesa come vera conoscenza, come sapienza acquisita sperimentando per primi ciò che ci circonda.
Difatti, quando qualcuno viaggia ha la sensazione di essere una persona nuova, in quanto ha la possibilità di scoprire valori importanti come il riconoscersi in un mondo che sembrava non appartenergli, il vivere la fratellanza e l’assumere una nuova considerazione della storia intesa come mezzo di apprezzamento delle proprie risorse culturali.
Non dobbiamo mai dimenticare, in fine, che osservare altri popoli ci insegna che nessun pensiero è “il pensiero giusto ed universale”, ma che tutti fanno parte di un grande caleidoscopio di opinioni e tradizioni: apprendendo questo, si arriva a conoscere la tolleranza, fondamentale per vivere in comunione pacifica con gli altri, troppo spesso elusa dalla vita ordinaria.
Per questo, come disse Marcel Proust, il viaggio è un buon viaggio se “non consiste nello scoprire nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.”

redazione

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