Di Alessia Maria Di Biase.
Associazioni, fondazioni, movimenti, cortei, crociate, giornate ad hoc, ricorrenze speciali e chi più ne ha più ne metta, il tema della violenza sulle donne, come lo giri lo giri tiene sempre banco.Basta porlo semplicemente tra due virgolette che, l’applauso è scontato, il voto è promesso, il consenso è confermato.
Appena si toccano i (presunti) diritti violati delle donne ecco che tutti si ergono a paladini della giustizia e dei diritti civili.
La conferma di quanto gli Italiani tengano a tutelare l’integrità e la persona della donna è stato il recente caso che ha investito una nota trasmissione televisiva del sabato pomeriggio perché, a detta dei più, evidenziare le peculiarità e velleità delle donne dell’est sarebbe stato offensivo e per le donne italiane, accusate indirettamente di non essere all’altezza del proprio ruolo di donne e compagne e, per gli uomini, ridotti a semplici e malleabili burattini nelle mani delle donne- giocoliere.
Ora, è abbastanza chiaro che, la chiusura della trasmissione è evidentemente una misura esagerata nonché pretestuosa, è altresì chiaro che i temi di cui si tratta in un programma televisivo non vengono scelti d’amblée per spiro di iniziativa del conduttore, ma sono il frutto di un lavoro meditato e curato dalle redazioni.
Ma comunque, tutto questo clamore si potrebbe anche comprendere se poi la stessa linea dura venisse effettivamente applicata sempre e comunque in tutti gli altri casi.
Di questo programma televisivo, che a ben vedere ha toccato tutti è nessuno se ne è fatto un caso di Stato, tuttavia, in questi stessi giorno dal tribunale di Torino arriva una sentenza shock di cui nessuno parla.
Premesso che, commentare i fatti di un processo senza conoscere gli elementi processuali non è la buona prassi, ma in questo caso le notizie riportate dai giornali non essendo state smentite si presumono confermate.
Nella fattispecie il Giudice (tra l’altro una donna) ha assolto l’imputato dall’accusa di violenza sessuale perché, pur accertato il rapporto fisico, la donna durante l’atto della violenza avrebbe detto solamente “no, basta” senza urlare a squarciagola e, tanto basta a far presumere il consenso della vittima.
Una sentenza analoga era già stata pronunciata tanti anni fa, nella quale si leggeva che non può esserci violenza sessuale se la donna indossa i jeans perché sono un capo d’abbigliamento difficile da sfilare se non c’è il consenso di chi li indossa.
Ebbene, difronte a questa recente motivazione del Giudice di Torino, che cancella in due righe sessant’anni di tentato progresso sociale, nessuno si è indignato, nessuno ha alzato un dito.
E quindi, se questo è il modo per assicurare e difendere i diritti delle donne, di concepire i comportamenti distorti dell’uomo, allora lo spettacolo può sicuramente continuare.
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