‘Doping’ per lavorare – Una forma di doping vissuta con vergogna e praticata di nascosto perché contraria alla loro religione e cultura, oltre che severamente contrastata dalla propria comunità, ma per alcuni l’unico modo per sopravvivere ai ritmi di lavoro imposti, insostenibili senza quelle sostanze. Giornate che cominciano alle prime ore dell’alba e proseguono fino a sera senza sosta: lavoratori piegati sui campi a raccogliere ortaggi, caricare cassette, preparare il terreno per la piantumazione, senza alcuna precauzione per le sostanze chimiche usate in agricoltura, spesso nell’illegalità, comunque sfruttati e ridotti a volte al silenzio. Un lavoro usurante, anche 7 giorni su 7, sotto il sole e sotto la pioggia.
Sostanze vendute da italiani – Il Rapporto, frutto di interviste rivolte ai braccianti della comunità Sikh, la seconda d’Italia per dimensioni e rilievo, avanza l’ipotesi che le sostanze dopanti, probabilmente più d’una, sarebbero vendute al dettaglio anche da alcuni indiani, molti dei quali recentemente arrestati in diverse operazioni delle forze dell’ordine. Ma dalle storie che ‘In Migrazione’ ha raccolto emerge che il ‘traffico’ è saldamente in mano a italiani senza scrupoli e spregiudicati variamente organizzati con collegamenti, probabilmente, anche con l’estero.
12.000 indiani a Latina – La richiesta di forza-lavoro non qualificata e facilmente reperibile da impiegare come braccianti nella coltivazione delle campagne ha incentivato la migrazione e convinto molti Sikh a stabilizzarsi nelle provincia di Latina. Secondo le stime della Cgil, la comunità arriva a contare ufficialmente circa 12.000 persone, sebbene sia immaginabile un numero complessivo intorno alle 30.000 presenze.
Ecomafie agricole – Migliaia di ‘nuovi schiavi’, riflette ancora il dossier, che vivono una condizione inimmaginabile per una società che si definisce civile e un Paese democratico, peraltro in un’area come quella che circonda il Parco Nazionale del Circeo, luogo di villeggiatura della ‘Roma bene’, della politica e dell’imprenditoria. Un’area dove la presenza delle mafie è radicata anche nel mondo agricolo e imprenditoriale, che vede spesso dominare il lucroso business delle ecomafie, favorito da intimidazioni a istituzioni, imprenditori, forze dell’ordine e magistrati.
Le istituzioni – A subirla una comunità che per cultura, religione e indole risulta accogliente, pacifica e dedita al lavoro, che subisce in silenzio lo sfruttamento cui è sottoposta e auspica l’intervento delle istituzioni. L’assunzione di sostanze (dalle sigarette a qualunque stupefacente o dopante) – ricorda ancora il dossier – è severamente proibita dalla religione sikh e dunque condannata senza remore. Per questo è molto difficile riuscire a farsi raccontare con chiarezza l’uso e le modalità di approvvigionamento di queste sostanze.
L’emarginazione – Se per alcuni braccianti doparsi è una necessità di sopravvivenza, questa pratica rischia di lasciare profonde cicatrici, una vergogna che rischia di isolare chi cade in una sorta di dipendenza. L’utilizzo del doping da parte di alcuni rischia infatti di alterare abitudini e dinamiche di una comunità fiera e coesa, inserita in un tessuto sociale che non offre servizi per l’inclusione ma che spesso manifesta sentimenti intolleranti. Essere emarginati dalla comunità significa per molti Sikh restare soli in balia di uno sfruttamento brutale e di una vita dura, senza dignità.
E’ evidente – osservano gli autori del dossier – come in provincia di Latina sia prioritaria un’azione decisa di controllo del territorio e di repressione dei reati connessi allo sfruttamento dei braccianti. Ciò garantirebbe la salvaguardia dei lavoratori Sikh da un lato e degli imprenditori agricoli virtuosi, schiacciati dalla concorrenza sleale fondata sul neo-schiavismo, dall’altro. Ragionare su un’azione coordinata dei tanti attori in campo – conclude il Rapporto – permetterebbe una strategia complessiva ed efficace.
fonte: adnkronos
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