corrispondente vocabolo in latino. Conosciuto anche con l’appellativo di “pater patriae” (padre della patria), per aver salvato la Repubblica dal tentativo eversivo di Lucio Sergio Catilina, ricoprì, per diversi anni, un ruolo di primissima importanza all’interno della fazione degli Optimates (componenti della fazione aristocratica conservatrice della tarda Repubblica romana). Cicerone sposò Terenzia, ricca ereditiera di famiglia patrizia, nel 77 a.C.. Il matrimonio durò per 30 anni e dalla loro unione, nacque Tullia, unica persona che Cicerone non criticò mai. Quando lei si ammalò improvvisamente nel febbraio del 45 a.C. e morì, dando alla luce un figlio, Cicerone scrisse ad Attico: «Ho perso l’unica cosa che mi legava alla vita». Divorziò dalla consorte Terenzia e si sposò con Publilia, rompendo, poi, anche con quest’ultima. Questo rese Cicerone oggetto di feroci critiche, tra tutte, quelle rivoltegli da Marco Antonio, luogotenente e magister equitum di Cesare, della fazione dei populares (“partiti” in senso lato che sostenevano le istanze del popolo). Quest’ultimo tentò di fare in modo che il senato decidesse di organizzare una spedizione contro i Liberatores, ma Cicerone fu promotore di un accordo che, assicurando il riconoscimento di tutti i provvedimenti presi da Cesare nel corso della sua dittatura, garantiva l’impunità a Bruto e Cassio.
Poco dopo, i due, assieme agli altri congiurati, fuggirono verso la penisola ellenica. Anche per questo motivo i rapporti tra Cicerone ed Antonio, peggiorarono; d’altra parte si trovavano all’esatto opposto in ambito politico: Cicerone era il difensore degli interessi della nobilitas senatoriale, convinto sostenitore della Repubblica, mentre Antonio avrebbe voluto fare suoi i progetti di Cesare ed assumere gradualmente un potere monarchico. Dopo l’assassinio di Cesare e di fronte al potere che Antonio andava acquistando all’interno dello Stato, Cicerone iniziò una violenta campagna denigratoria contro di lui. Ne sono diretta testimonianza le 14 orazioni che nel 43 e 44 a.C. pronunciò proprio contro Marco Antonio, meglio conosciute con il nome di Filippiche (nome che l’oratore greco Demostene pronunciò nel IV secolo a.C. contro Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno). Cicerone a questo punto si ritirò nella sua villa di Formia dove fu raggiunto da alcuni sicari inviati da Antonio, che non ebbero molti problemi a trovarlo. Cicerone, accortosi dell’arrivo dei suoi assassini, non tentò di difendersi, rassegnandosi alla sua sorte, e venne decapitato. Una volta ucciso, gli furono tagliate anche le mani con cui aveva scritto le Filippiche che furono esposte, insieme alla testa, in Senato, come monito per gli oppositori del triumvirato.
E proprio nel Golfo di Gaeta, in cui la tradizione colloca la sontuosa villa che l’oratore abitò frequentemente, si trova il mausoleo monumentale comunemente chiamato “Tomba di Cicerone”, ove però si sa con certezza che le spoglie di Cicerone non giacciono. Sulla vicina collina invece, vi è un sepolcro più piccolo, ritenuto la tomba della figlia Tulliola e, all’interno del quale, è nota la presenza delle spoglie dell’amata figlia. La figura di Marco Tùllio Ciceróne, venne ricordata la prima volta dalle Poste Italiane in occasione del Bimillenario della morte, il 30 novembre 1957, con l’emissione di un francobollo da 25 Lire contenuto in fogli da 60 con una tiratura di 10.000.000 pezzi.
a cura di Alessandro Di Tucci
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