Ci sono voluti 47 anni, una causa di primo grado andata male per prescrizione del diritto al risarcimento del danno, e infine una causa di appello per dare giustizia ad una 89enne di Gaeta che nel 1970 e poi nel 1978 aveva ricevuto 2o sacche di sangue infetto durante un ricovero presso l’Ospedale “Dono Svizzero” di Formia.La sentenza n. 3818 della Corte di Appello di Roma (che fra capitale, interessi e spese condanna il Ministero della Salute a pagare un importo di poco inferiore ai 500mila euro) è stata emessa ieri (7 giugno 2017) a seguito di un acceso dibattimento fra l’avvocato dello Stato e l’avvocato Renato Mattarelli (che ha difeso l’anziana donna) è chiara “… dalla c.t.u. medico-legale espletata è risultato che le emotrasfusioni cui la (pz.) fu sottoposta nel 1970 al 1978 siano state in termini di elevata, ma non di certezza assoluta, la causa di contagio del virus HCV, anche tenendo conto del fatto…che è pur vero che l’infezione da HCV poteva trarre origine da interventi minori quali pratiche endoscopiche, attività odontroiatriche, manualità ostetriche, ecc., ma l’indagine anamnestica non ha fatto emergere i precedenti riconducibili ad operatività di siffatto genere così come negativa, per quanto è stato possibile desumere dalla lettura delle cartelle cliniche della storia delle soggetto, la sussistenza di tossicodipendenza. Pertanto, in considerazione di quanto accertato dal c.t.u. (medico-legale) in assenza di fattori alternativi… ritiene la Corte (d’Appello) che sussista un quadro di indizi, univoci, precisi e concordanti idoneo ad integrare la prova del nesso di causalità…” fra le trasfusioni somministrate alla 89enne di Gaeta nel 1970 (quando aveva solo 42 anni) e 1978 presso l’Ospedale Dono Svizzero di Formia e l’epatite
La Corte di Roma ha accolto l’appello dell’Avv. Renato Mattarelli che aveva impugnato la sentenza di prescrizione del Tribunale di Roma secondo cui la causa doveva essere promossa entro 5 anni dalle trasfusioni del 1970 e del 1978. “Al massimo – affermava la sentenza impugnata e ribaltata in appello – la donna di Gaeta avrebbe dovuto iniziare la causa entro il 1992 quando venne promulgata la legge n. 210/1992 (tuttora vigente) che riconosce un “Indennizzo in favore dei danneggiati irreversibilmente da vaccinazioni obbligatorie e trasfusioni di sangue ed emoderivati”.
Secondo il tribunale di Roma, l’anziana donna che nel 2009 aveva ottenuto l’indennizzo legge n. 210/1992 (un assegno mensile di circa € 800,00 a vita) proprio tramite l’Avv. Renato Mattarelli, non poteva non conoscere il danno già dal 1992.
Diversamente, la Corte di Appello ha accolto la tesi dell’avvocato Mattarelli secondo cui non si deve confondere la conoscenza della malattia (epatite C) che è semplicemente un concetto clinico e di facile percezione (visto che chi ne è ammalato non può non sapere di essere infettato) con la conoscenza del danno risarcibile che è invece un concetto giuridico e di difficile percezione da parte di chi ha una epatite C (oppure epatite B o HIV, aids): sapere di avere una grave infezione (come l’epatite C) non significa affatto sapere da dove ha avuto origine il contagio(es. dialisi, intervento chirurgico, infezione ospedaliera, scambio di siringhe fra drogati, dentista, rapporti etero ed omosessuali, tatuaggi, body piercing, ecc. o appunto: trasfusioni).
L’avvocato Mattarelli ha sostenuto che, nel caso dell’88enne di Gaeta in particolare, la sua età avanzata e la sua oggettiva difficoltà di ricostruire decenni di vita, nonché tutti gli ingressi ambulatoriali, analisi e ricoveri (soprattutto ricordare che aveva avuto trasfusioni quasi 50 anni prima) non poteva certamente imputarsi all’anziana donna a cui, mai l’Asl di Latina ha inviato l’invito a sottoporsi ai test epatici.
Eppure, il dovere di vigilanza e controllo delle amministrazioni sanitarie locali (compresa quella di Latina) avrebbe dovuto loro imporre (subito dopo le acquisizioni delle conoscenze scientifiche di gravissimo rischio di epidemia infettiva delle trasfusioni di sangue date dopo lo scandalo del “Sangue infetto” degli anni ’90) di verificare a quali pazienti erano state effettuate trasfusioni di sangue nel periodo ricompreso fra gli anni ’60 – ’90 poiché notoriamente ad elevato rischio di contagio di epatiti B e C nonché HIV ed AIDS.
Se ciò fosse stato fatto, non solo l’89enne di Gaeta avrebbe conosciuto da subito di essere stata infettata da epatite C (e non solo più tardi nel 2008 a seguito dei normali controlli del sangue con transaminasi elevate), ma avrebbe potuto curarsi tempestivamente e prevenire la cirrosi epatica e il tumore al fegato sviluppatisi recentemente.
Resta comunque certo che questa vittoria giudiziaria non potrà restituire alla donna di Gaeta la salute che anzi si è aggravata poiché nel corso degli anni di causa l’epatite C si è trasformata in cirrosi ed infine in tumore al fegato.
Avv. Renato Mattarelli