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Pesce Palla e meduse, così le specie aliene arrivano nel golfo di Gaeta

Se fino ad oggi fare il bagno nel mar Tirreno comportava il rischio di calpestare una trascina, da adesso in poi, i rischi si chiamano Pesce Scorpione, Pesce Palla, Pesce Pietra o la Cubomedusa.

Il professor Adriano Madonna, biologo marino presso il laboratorio di endocrinologia comparata dell’Università Federico II di Napoli e professore di biologia e Scienze ambientali all’I.T.S. di Gaeta, studia il fenomeno delle specie aliene nel Mar Mediterraneo e in particolare lungo le coste laziali e campane.

«Si tratta di specie ittiche che arrivano lungo le nostre coste dagli oceani grazie all’intervento dell’uomo e che sempre più riescono a sopravvivere in questi ambienti non tipicamente loro grazie al riscaldamento dei mari – afferma l’esperto – Abbiamo calcolato che negli ultimi dieci anni, grazie all’effetto serra, la temperatura media del Mediterraneo è aumentata di un grado e che la velocità del riscaldamento è aumentata. Specie ittiche di mari più caldi, a volte anche pericolose, entrando dal canale di Suez o viaggiando nelle acque di sentina delle navi, arrivate nei nostri porti un tempo morivano perché non trovavano le condizioni climatiche adatte che oggi, invece, si sono create e, quindi sopravvivono. Di Pesci Palla, per esempio, nel sono stati pescati nel Golfo di Gaeta e in quello di Napoli. La particolarità di questo pesce sta nella sua tossicità. Se non lo si riconosce e venisse scambiato per uno scorfano finendo in una zuppa, le sue tossine sarebbero letali per chi la dovesse mangiare. Calpestare un Pesce Scorpione e un Pesce Pietra è ben diverso che calpestare una trascina. Sono dotati di aculei che iniettano tossine letali, quindi molto pericolose. Entrambi Sono stati avvistati per lo più lungo le coste africane e al massimo a Lampedusa».

Ci sono poi le meduse, ed una in particolare, la cubomedusa. «È una specie oceanica che ormai da qualche anno si è stabilizzata nei nostri mari. Produce tossine che provocano un forte shock anafilattico. Io stesso ne ho fotografata una al largo di Sperlonga. Il nostro lavoro è quello di studiarli e capire se il loro dna si sta modificando per tentare di adattarsi a questi nuovi ambienti. Stiamo organizzando una serie di work shop per cercare di preparare i pescatori a questi cambiamenti e stiamo creando lungo le coste una serie di stazioni di monitoraggio, vere e proprie vedette del pescato, che segnalino la presenza di pesce alieno». Non è un allarme, ma un prestare attenzione ai cambiamenti.

«Da qui a qualche anno ne vedremo delle belle – dichiara ancora il biologo – Non c’è da avere paura ma è necessario prepararsi affinché questi cambiamenti non ci trovino impreparati. Dai tempi di Ulisse ad oggi il nostro mare è cambiato e dobbiamo adattarci a questi cambiamenti».

fonte: il messaggero

redazione

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