Il 5° incontro della 6 Stagione di Confronti è con il prof. Nilo Cardillo, già preside del Liceo Classico ” V. Pollione ” di Formia, e da sempre colonna dell’Associazione Confronti.
Dopo Il Simposio e il Fedro, il prof. Nilo Cardillo affronta La Repubblica di Platone sabato 16 Febbraio , ore 18,00 , presso la Sala Ribaud del Comune di Formia
La Repubblica è, a giudizio di molti studiosi, il più importante tra i dialoghi di Platone, spesso frainteso a causa della sua straordinaria complessità. In fondo quest’opera è lo specchio fedele della vastità e della ricchezza del suo pensiero, del quale è la summa e la sintesi. Platone parte dalla giustizia, poi allarga il campo di indagine fino a delineare la migliore costituzione di una ipotetica città, cercando di dipanare il difficile nesso tra etica, politica, psicologia, ontologia ed epistemologia, affrontando problematiche che risultano ancora attuali e lontane dall’essere risolte.
La Repubblica ha contenuti che vanno assai oltre ciò che il titolo promette, e molti lettori tendono a rimuovere i contenuti che non rientrano nel titolo, per cui finiscono per non comprendere il significato complessivo e più profondo dell’opera. Solo un terzo dell’opera tratta di questioni di carattere politico, mentre i restanti due terzi trattano della condizione umana, dell’ educazione dei giovani, e di tanta altre questioni che attengono alla nostra possibilità di essere felici, in questo mondo !
Al centro della Repubblica c’è il problema dell’ educazione dei giovani, come aveva lucidamente visto G. G. Rousseau, quando affermava che la Repubblica “non era un libro di scienza dello stato, come pensano coloro che giudicano i libri soltanto dal titolo, ma era il più bel trattato sull’educazione che fosse mai stato scritto”.
La Repubblica non può venir considerata un’utopia nel senso di un castello in aria, un sogno a occhi aperti o un pio desiderio; al tempo stesso, essa non costituisce neppure un programma politico di breve periodo. Si tratta piuttosto di un progetto etico-politico non impossibile, anche se la sua realizzazione può collocarsi nella prospettiva di un remoto futuro, ma la cui formulazione è tuttavia efficace immediatamente sul piano intellettuale e morale. Essa costituisce un atto teorico autorevole e persuasivo: chiunque l’abbia conosciuto e condiviso, ne subisce fin d’ora il vincolo e il richiamo.
Il modello e il progetto della kallipolis rappresentano cioè l’orizzonte verso il quale egli orienterà fin d’ora la sua azione e il suo cammino nel mondo storico. Come Platone dirà nel libro IX, si tratta dunque di un paradigma “posto in cielo come un modello, offerto a chi voglia vederlo, e, avendolo di mira, insediarvi se stesso. Ma non fa alcuna differenza se essa esista da qualche parte o se esisterà in futuro: egli potrebbe agire solo in vista della politica di questa città, e di nessun’altra” (XI, 592b).
Ove personalità come Machiavelli o Tucidide compongono, in seguito a disavventure politiche, opere crudamente realistiche, Platone compie uno sforzo grandioso di riflessione e di costruzione teorica. Il Socrate del I libro, che ci ha introdotto al problema della giustizia, prende congedo da noi, e si trasforma, nelle mani di Platone, in un costruttore di città che si misura con idee radicali. Né mera utopia, né programma politico a breve termine, la Repubblica va dunque interpretata come un gesto audace e potente di immaginazione filosofica e insieme di costruzione razionale, capace di spezzare i limiti angusti dell’esistenza quotidiana e delle forme di pensiero conservatore che la esprimono, e di progettare un nuovo mondo possibile per l’esistenza individuale e collettiva. Su questi temi, Platone ha certamente lasciato ai suoi lettori e ai suoi interpreti il compito di continuare la discussione, che dura da ventiquattro secoli, a riprova della sua straordinaria fecondità, frutto di un pensiero che non finisce di trasformarsi e di ispirare chiunque si avvicini ad esso. Inoltre, l’utopia, prima di manifestarsi nella forma letteraria e nell’elaborazione filosofica, si presenta come una dimensione fondamentale dello spirito umano. L’uomo è originariamente inquieto, perché il suo essere è, insieme, finito e indefinitamente potenziale. Egli, in quanto spirito, anela alla perfezione o, comunque, a «più essere», ma tale anelito viene frustrato dalla sua finitezza e dalla inadeguatezza dei mezzi. Eppure, le continue frustrazioni, lungi dal prostrarlo e inchiodarlo al dato, all’immediatezza, che è propria dell’animalità, lo spronano ad agire, a procedere al di là del dato, del presente, dell’immediato, perché egli è sorretto dalla speranza, dalla coscienza, dalla libertà, dall’ eticità. La propensione verso il dover essere o, blochianamente, verso ciò che non è ancora è costitutiva dell’uomo. Perciò quest’ultimo può definirsi, ben a ragione, come homo utopicus.
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