Il prossimo 4 dicembre saremo chiamati ad esprimere il nostro voto cosciente in merito al referendum confermativo della proposta di revisione costituzionale presentato dalla ditta Renzi-Boschi .
Il primo dato da sottolineare è che ci troviamo di fronte ad uno strumento partecipativo di grande importanza che a differenza degli altri istituti referendari non richiede alcun quorum: ovverosia un numero minimo di votanti affinché lo stesso sia valido . Ciò dovrebbe indurci a partecipare con ancora più determinazione e consapevolezza a quest’appuntamento con la democrazia sostanziale.
Stante la rilevanza di ciò, provo – con grande umiltà – a fornire un ulteriore punto di vista affinché attraverso un confronto scevro da logiche di appartenenza correntizia, si possa contribuire a fare chiarezza e a indurre eventualmente – chi legge , a rimodulare una propria pensabilità, svincolandosi da annunci vanitosi che non rispondono alla realtà del testo normativo.
Sorvolo sulla “mozione degli affetti” in merito al sudore, al sangue, ai valori, agli ideali che hanno caratterizzato la stessa, è doveroso però portarle rispetto: anche quando si prova a modificare parte di essa. Rispetto che avrebbe richiesto un livello di preparazione più qualificato del nostro legislatore attuale. Se prima eleggevamo docenti universitari , avvocati di vaglia , oggi vengono nominati i venditori porta a porta e le signorine dal curriculum incerto ma accompagnate da un buon servizio fotografico. Nel caso del governo attuale, poi sconta anche una situazione di abusivismo istituzionale non essendo stato eletto attraverso normali elezioni di primo livello.
Una proposta di riforma pasticciata sostenuta attraverso gli spot linguistici che cercano di sedurre un elettorato giustamente arrabbiato e disincantato, puntando l’attenzione su chiassosi verbi di sicura presa d’attenzione quali “semplificare o ridurre”. Ebbene l’unica vera semplificazione che viene attuata è quella che toglie di mezzo noi corpo elettorale costringendoci ad un ruolo residuale, non potendo di fatto più scegliere chi dovrà rappresentarci.
Come è successo già nella sfrangiata riforme delle province, si avranno elezioni di II grado che affidano la scelta soltanto a pochi eletti, in questo caso consiglieri regionali e sindaci. Si avranno Senatori part time che dovranno coniugare la loro attività parlamentare con le altre funzioni regionali. Passeremo dalla democrazia rappresentativa alla democrazia dell’investitura, permettendo ai centri decisionali fuori dalle nostre città di nominare i senatori.
Cosa che desta ancora più allarme è la lesione democratica che trasforma una sparuta minoranza in maggioranza. Cioè vuol dire che basta una percentuale del 20% per poter usufruire di un premio di maggioranza finalizzato a far governare chi in una situazione di normalità non avrebbe neanche la maggioranza per poter partecipare ad un’assemblea di condominio.
E’ la logica renziana dell’uomo solo al comando! E’ la nebbia del pensiero unico !
Ulteriore semplificazione targata Renzi-Boschi è quella che commissaria il potere legislativo attraverso l’intervento armato del potere esecutivo. Fino ad oggi, il governo – in casi di necessità e urgenza – poteva sostituirsi al parlamento e adottare provvedimenti legislativi. Con la proposta di riforma, invece, questa diventa la normalità : l’uomo solo al comando con una residuale percentuale decide da solo e si sostituisce al parlamento. Viene di fatto cancellata la separazione dei poteri dello Stato. Ulteriore tic lessicale della ditta Renzi- Boschi è quello che punta alla “riduzione, ” di cosa ancora non è dato saperlo. Disarmante, invece, è la riduzione dell’autonomia regionale a deliberare sulle materie di competenza. Infatti, mentre per anni si è parlato di decentramento di alcune decisioni dallo Stato alle regioni in modo da poter assumere deliberazioni più spedite e più vicine al cittadino, oggi proprio in piena sintonia con quel principio dell’uomo solo al comando, lo Stato rinuncia alla cura dimagrante e si ingrassa con nuove competenze che di fatto porteranno all’aggravio dei tempi di attesa.
Materie come il governo del territorio, scuole, gestioni portuali, servizi sociali ritorneranno nel mostro leviatano di uno Stato non in grado di produrre decisioni snelle e utile per la quotidianità. Infine, la più grande delle mistificazioni prospettate in questa riforma è quella del contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni. Suggestione goliardica smentita da una verosimile ricostruzione che porterebbe ad una riduzione dei costi solamente del 5%, rimanendo , infatti, inalterati i costi delle strutture burocratiche amministrative. E’ il copia incolla dell’abolizione formale delle province. Abolite per ridurre i costi ma che di fatto mantengono quasi tutte le funzioni e lo stesso personale precedentemente impiegato. Su tale aspetto bastava ridurre le società partecipate o accorpare enti minori che hanno perso utilità amministrativa.
Questa la fotografia in sintesi di una riforma che non ha sana e robusta costituzione e merita di essere contrastata attraverso un NO forte e coscienzioso.
Pasquale De Simone ex assessore all’Urbanistica del Comune di Gaeta