“Ci sono voluti anni per avviare la nostra attività di vendita diretta e ora quella maledetta colonna di fumo ha distrutto in poche ore tutti i nostri sacrifici. Non ci arrendiamo, ripartiremo daccapo, ma intanto da venerdì scorso siamo fermi. I nostri clienti abituali tornano indietro a mani vuote”.
È lo sfogo dei fratelli Camorani, Paolo e Gianfranco, titolari di una azienda agricola a Santa Procula, frazione di Pomezia, località ricompresa nella fascia di interdizione dei cinque chilometri dove vige il divieto di raccolta di frutta, ortaggi e verdura emesso dai comuni di Ardea e Pomezia a seguito della nube spigionatasi dal rogo della centrale di stoccaggio Eco X. “Stiamo così, nell’incertezza.
Aspettiamo con ansia i risultati delle analisi eseguite dalle autorità sanitarie per conoscere il nostro destino e per sapere – aggiunge la signora Marzia, moglie di Paolo – cosa dovremo farne di carciofi, insalate e verdure coltivati sui nostri campi e che fino a venerdì vendevano direttamente nel nostro piccolo punto vendita.
Sono lì e nessuno li toccherà fin quando non avremo i risultati delle verifiche”. Inutile dire che l’azienda agricola Camorani, da venerdì scorso, ha subito un tracollo economico pesantissimo, come del resto tutte le altre insediate nel raggio dei cinque chilometri dall’impianto di trattamento dei rifiuti andato a fuoco.
“Dobbiamo superare immediatamente questa fase di incertezza che aggrava il bilancio dei danni, dei disagi, delle difficoltà degli imprenditori agricoli che, pur non avendo colpe, sono i più colpiti dall’emergenza ambientale. Chiediamo l’attivazione immediata di un tavolo presso la Regione Lazio – auspica David Granieri, presidente della Coldiretti del Lazio – perché si proceda alla quantificazione dei danni subiti dal sistema agricolo di Pomezia e Ardea e per definire le modalità di liquidazione degli indennizzi. Fermo restando che, in caso di apertura di procedimenti giudiziari, la Coldiretti si costituirà parte civile”