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Sangue infetto: risarcimento di 620mila euro per la morte un Carabiniere nel 2016

Quando la giustizia funziona. Quattro cause e quattro risarcimenti in 12 anni andati tutti in porto. L’ultimo di 620mila arriverà per accordo con lo Stato.


La prima battaglia legale era iniziata nel 2008 quando un carabiniere in pensione di Latina ha chiesto al tribunale di Latina il riconoscimento dell’indennizzo previsto dalla legge numero 210 del 1992 in favore dei soggetti danneggiati da trasfusioni di sangue infetto.
L’uomo era stato trasfuso negli anni ‘70 presso l’ospedale di Pieve di Cadore.
La causa però non era andata bene e l’avvocato Renato Mattarelli, che ha assistito l’uomo finché è rimasto in vita, ha dovuto ricorrere alla corte d’appello di Roma che nel 2013 ha finalmente riconosciuto l’indennizzo richiesto circa 800 euro al mese.  
La seconda e più complessa battaglia legale è iniziata nelle 2012 quando l’uomo ha chiesto al tribunale di Roma di condannare il ministero della salute per tutti i danni patiti a seguito delle gravi infezioni di epatite da emotrasfusioni.  
Infatti ad integrazione dell’indennizzo che è una specie di pensione l’uomo ha chiesto ed ottenuto, purtroppo dopo la sua morte avvenuta nel 2016, un ulteriore risarcimento integrale di tutti i danni e quindi non soltanto il danno creato dalla cirrosi epatica ma anche il danno da vita rovinata, dalla sindrome depressiva reattiva alla consapevolezza del contagio.
Questa seconda ulteriore condanna del ministero della salute a circa 400mila euro non è stata festeggiata dall’uomo che è deceduto qualche mese prima della sentenza.
La terza battaglia – avanzata questa volta dagli eredi del povero carabiniere di Latina – è terminata con il pagamento di un emolumento di circa 78mila euro dovuto dalla speciale legge 210/1992 in favore degli eredi di chi a seguito di emotrasfusioni è deceduto.  
La quarta battaglia, iniziata recentemente nel 2018 dagli eredi dell’uomo con l’avvocato Renato Mattarelli ha contestato al Ministero della salute, non più e non soltanto i danni che il loro congiunto aveva patito in vita ma, anche il dannomorale patito personalmente per l’uccisione e l’omicidio colposo del loro congiunto.
Ma, quest’ultima volta il Ministero della Salute ci ha pensato bene a difendersi davanti al tribunale che ha imposto allo Stato di sottostare ad una transazione e quindi ad un accordo in corso di causa, con gli eredi dell’uomo di Latina deceduto. Il giudice ha infatti imposto alle parti in causa di risolvere bonariamente il giudizio al fine di evitare una evidente condanna del ministero della salute.
Per questa ragione nella prima settimana di agosto è pervenuta all’avvocato Renato Mattarelli una proposta transattiva per la chiusura della causa con un pagamento a saldo e stralcio di circa 620mila euro in favore degli eredi.
Questa volta la giustizia è davvero arrivata per ben quattro volte di seguito dovendo però, questa volta, fare i conti con la morte di una persona che non godrà mai di queste ingenti somme.
Quello del sangue infetto – ha commentato l’avvocato Mattarelli – resterà ancora per molti anni una delle principali piaghe sanitarie che hanno fatto vergognare lo Stato italiano per le sue gravi omissioni nei controlli del sangue per uso terapeutico, in particolare nel periodo che va dalla metà degli anni ‘60 a metà degli anni ‘90.


DAL SANGUE INFETTO ALLO SCANDALO DEL COVID-19
A proposito di mancanza di controlli e di ritardi nell’attuazione della prevenzione sanitaria, l’avvocato Mattarelli che assiste in Italia centinaia di danneggiati da trasfusioni di sangue infetto, sta verificando le similitudini fra lo scandalo del sangue infetto con quello del potenziale scandalo del Covid-19 giungendo ad uno studio di fattibilità di azioni giudiziarie.
Anche se apparentemente distanti infatti i casi di sangue infetto e quelli da Covid-19 hanno invece delle grandi similitudini riassumibili sinteticamente nella

  1. mancata attuazione del piano sanitario sulla prevenzione e gestione delle pandemie del Ministero della Salute. Gli obiettivi di sanità pubblica non sono stati rispettati già dalla fase 0 del periodo interpandemico per sottovalutazione del rischio: i livelli 0 e 1 e a calare tutte le fasi successive non furono attivate e non avrebbero identificato i rischi. Nella fase iniziale interpandemica, che nel caso italiano corrisponde più o meno al mese di febbraio, si sottolinea nel piano la necessità di individuare “appropriati percorsi per i malati o sospetti tali” e “censire le disponibilità di dispositivi meccanici per l’assistenza ai pazienti”.
  2. Carenza prolungata dei dispositivi per la ventilazione,
  3. ritardo nella tempestiva attuazione del lockdown nazionale del 9 marzo a distanza di 38 giorni dalla dichiarazione dell’emergenza sanitaria del 31 gennaio,
  4. consapevole ritardo nella dichiarazione dell’emergenza del 31 gennaio e omessa informazione alla popolazione dei rischi di immediato contagio: è stato proprio il Presidente del Consiglio ad affermare pubblicamente l’esistenza di un documento secretato redatto già in data 20 gennaio definito “…tanto allarmante da preferire di non divulgarlo per non spaventare i cittadini…” sostenendo che “…quel piano abbiamo seguito. La linea è stata non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio…”.Secondo indiscrezioni il documento contiene tre scenari per l’Italia, uno dei quali troppo drammatico per essere divulgato senza scatenare il panico tra i cittadini. Per questo il piano è stato secretato. Lo scenario peggiore avrebbe previsto tra i 600 mila e gli 800 mila morti. Ma se in quelle 55 pagine conosciute dalla fine di gennaio si capiva che il rischio per il Paese era altissimo perché nessun provvedimento è stato preso fino al primo di marzo?
  5. Imprudente disposizione del Ministero della Salute di far di ometter le autopsie sui deceduti da Covid-19 impedendo e ritardando la scoperta della potenziale utilità dell’eparina per sconfiggere il Covid-19.
  6. Negligente decisione di sottoporre a test solo i sintomatici per poi scoprire che l’80% dei contagi proveniva proprio dagli asintomatici non testati. ( La prova dell’errore venne data dalla decisione contraria della regione Veneto che applicando il cd “Tampone a strascico” ha evitato ed arginato la diffusione del virus).
  7. Mancata e prolungata assenza di dispositivi di protezione del personale sanitario.
redazione

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