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Spiagge in saldo, il governo pensa a venderle

Vendere le spiagge italiane ai privati. Più esattamente a chi già ci lavora – i gestori dei lidi – e le occupa con ristoranti, bar, boutique e cabine. E’ un’idea, piuttosto concreta, allo studio del governo Letta in questi giorni e che presto potrebbe trovarsi inserita ta tra gli articoli della legge di Stabilità in discussione in Parlamento. Da Ostia a Rimini, dalla Costa Smeralda alla Riviera ligure, i circa 7500 chilometri costieri della Penisola potrebbero essere investiti dagli effetti della «sdemanializzazione». Una parola , sempre più ascolta ta tra gli uffici del mistero dell’Economia e le sedi delle associazioni balneari, che in sintesi illustra questo piano: lo Stato dovrebbe spogliarsi della proprietà degli arenili per assegnarla, a cifre e modalità da stabilire, agli attuali concessionari – che per l’uso pagano all’erario un canone, una specie di «rata d’affitto» – senza passare per le aste pubbliche volute dalla Ue.

LA SDEMANIALIZZAZIONE – A fine settembre i rappresentanti dei concessionari hanno incontrato (c’erano anche parlamentari ed europarlamentari Pd e Pdl e il direttore dell’Agenzia del demanio Stefano Scalera ) il sottosegretario all’Economia e Finanze Pier Paolo Baretta con l’obiettivo di perfezionare la bozza. L’obiettivo è amalgamare la nuova disciplina con le imposizioni di Bruxelles che ha chiesto all’Italia più concorrenza nel settore spiagge. Per la Ue la soluzione è quella che arriva dai bandi pubblici alla scadenza delle concessioni. Che invece, sinora, vengono rinnovate automaticamente restando sovente nelle stesse mani.

ALL’ASTA DAL 2020 – Tutto cambierà a partire dal 2020 – è stata l’assicurazione dell’Italia valsa la chiusura della procedura d’infrazione in materia di demanio e libero mercato – quando quei «contratti d’affitto» tra Erario e gestori dei lidi che via via decadranno saranno messi, appunto, all’asta. Lo scenario sta gettando nel panico le associazioni di categoria che vantano, fra Tirreno, Ionio e Adriatico, circa 30 mila operatori e che smuovono, alla voce turismo, un giro d’affari da centinaia di milioni di euro. L’azzeramento delle concessioni sostituite dai bandi – è il timore – impedirebbe di ammortizzare le spese sostenute per migliorare l’accoglienza dei lidi, come la costruzione di piscine, aree fitness, impianti sportivi e spazi destinati al commercio e alla ristorazione.

IL PRECEDENTE DI TREMONTI – La proposta di «sdemanializzazione» non è certo inedita: sia pure con qualche variante la ipotizzò nel 2005 l’allora ministro Tremonti formulando concessioni a 90 anni, proposta ripresa poi nel decreto Sviluppo 2011 su cui caddero i rilievi del Capo dello Stato a seguito dei quali la scadenza venne pesantemente ridotta: a 20 anni. Ma ora c’è anche chi, come Edoardo Levantini, del Cordinamento antimafia del litorale laziale, lancia l’allarme criminalità: «Occorre vigilare sul business delle concessioni che fa gola alla malavita organizzata. Lo dimostra l’indagine della squadra mobile di Roma sugli arenili di Ostia: i clan hanno cercato in ogni modo di accaparrarsi i lidi».

I BALNEARI: PROPOSTA POSITIVA – Per i balneari favorire quegli imprenditori che da sempre lavorano in spiaggia è invece il modo migliore per tenere lontano le infiltrazioni tentate da chi dispone di grandi capitali di dubbia provenienza. E in un comunicato firmato dalle 5 maggiori associazioni – (Sib-Confcommercio, Fiba-Confesercenti, Cna- Balneatori, Assobalneari-Confindustria e Oasi-Confartgianato) la proposta formulata da Baretta viene «valutata positivamente».

Fonte: www.corriere.it

redazione

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