Genere: Romanzo storico/Narrativa di guerra
Pagine: 212
Prezzo: 14,99 €
ISBN: 9798364673268
Thomas Zettera ha solo sette anni quando ascolta dal nonno materno Osvaldo il toccante e doloroso racconto della sua deportazione in un campo di sterminio in Germania. Quelle parole che colpiscono profondamente la sensibilità del nipotino diventano la fonte del libro “Il bambino delle capre” che Thomas Zettera decide di scrivere da adulto. “I racconti si sono trasformati in frastagliati ricordi dispersi nel tempo, nel tentativo di ricomporre un puzzle fatto di vuoti incolmabili ho compreso che potevo attingere dal dono dell’empatia, la capacità di assorbire e percepire le emozioni altrui, riportandole vivide nel testo affinché potessero essere trasmesse come tangibili ricordi nelle menti e nei cuori… perché nulla venga dimenticato” scrive l’autore.
Osvaldo è solo un ragazzo quando deve affrontare la terribile esperienza della prigionia in un lager. “Si poteva respirare un’aria gelida di morte, sembrava di aver appena attraversato la soglia dell’oltretomba. La stessa impressione fu probabilmente avvertita da tutti, trasparente e limpida si mostrava nei volti sconcertati e inorriditi di chiunque”. Con queste impressionanti parole Thomas Zettera descrive l’arrivo nel campo di concentramento del nonno Osvaldo che era stato fatto prigioniero in un piccolo borgo dell’Appennino marchigiano per aver salvato e nascosto un ragazzo di nome Tonio. “Grazie, grazie Osvaldo, mi hai salvato la vita, erano alcuni giorni che vagavo disperato nei boschi, mi sono allontanato dal campo base per cercare qualcosa da mangiare e sono caduto in un dirupo. É lì che mi sono ferito. Sanguinante e indolenzito, mi sono trascinato dentro il bosco al riparo dal sole cocente ma poi ho perso l’orientamento e non sono riuscito più a tornare indietro” dice il ragazzo che faceva parte di un gruppo di azione patriottica.
Nel campo di sterminio Osvaldo sperimenta il totale annullamento della dignità umana attraverso vessazioni e torture. Appena arrivato, gli viene assegnato un numero, così come ad ogni prigioniero. “Ricordate tutti, soprattutto i nuovi arrivati, da oggi questo numero è l’unica cosa che siete, dimenticatevi pure il vostro nome, qui non siete più persone, non siete più umani, ma solo pezzi, ingranaggi di un meccanismo che deve lavorare alla massima efficienza” urla il kapò ai deportati.
Nonostante tutto, Osvaldo riesce a trovare dentro di sé la forza per resistere e poter sopravvivere nel campo di prigionia e soprattutto, una volta libero, è capace di superare il suo trauma e cancellare l’odio che aveva accumulato nel suo cuore.
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