Tutto pronto per la sesta edizione del festival “Calanne – Glie Sciuscie di Gaeta”, evento in programma martedì 31 dicembre e domenica 5 gennaio nelle vie storiche della città di Gaeta.
“Gliu sciuscio” è in origine un canto di questua, un atto di solidarietà tra gli strati più poveri della società e quelli più agiati, un momento di incontro tra contadini, pescatori e servi che potevano accedere alle case dei signori, il giorno di San Silvestro, per augurare
loro buona fine e buon principio d’anno (Calanne, per l’appunto, è un modo di dire dialettale gaetano che vuole intendere il “calare dell’anno e l’inizio del nuovo”), in cambio di una ricompensa, la questua, che una volta era in fichi secchi, sciuscelle, carrube o un bicchiere di vino, spesso abbinato a un momento di convivio.
Per conoscere meglio la vera identità de gliu sciuscio gaetano Gazzettino del Golfo ha incontrato alcuni soci dell’Associazione Culturale Le Tradizioni, presieduta da Mauro Di Nitto:
“Gliu sciuscio è una parola che nasce in dialetto; non esiste una traduzione in italiano, sarebbero i fichi secchi. Gliu sciuscio è sia il dono che viene fatto che il gruppo di questuanti. Il canto di questua prevede delle fasi ben precise: presentazione (Noi simm gl pover pover e venimm da Casoria…), l’augurio (Oggi è calanne, diman è gl’ann nuov…) e la richiesta dei doni (O’ patro’… dacce nu sciusc, annanz che s’ammosc dacc quatt fich mosc, annanz che se secca dacc quatt fich secch). La conclusione del canto varia a seconda dell’offerta ricevuta; in cambio di doni si augura al padrone di casa ogni bene, nel caso in cui, raramente, l’offerta non veniva data o era deludente arrivava lo sfottò”.
La bellezza di fare glie sciuscie non è solo l’esibizione del 31 dicembre, ma la preparazione negli altri 364 giorni dell’anno; dalla stesura di testi e melodie, alle prove e al divertimento “dietro le quinte”, alla realizzazione degli strumenti tipici.
I canti della questua, infatti, sono, nella tradizione, accompagnati da ‘martello’, ‘urzo’, ‘rattacas’, realizzati con ciò che si trovava in giro. Bastano una pentola, un pezzo di ferro, un triangolo, una scatola di pomodori avanzati, i tappi delle bottiglie; insomma, le cose più comuni per accompagnare il canto di augurio.
Gliu sciuscio gaetano è una tradizione che “si tramanda da almeno sei generazioni -racconta Mauro Di Nitto-. Facendo un calcolo di 30 anni a generazione, parliamo di almeno 180 anni. Si arriva all’Unità d’Italia. Per parlare di tradizione servono due elementi: il tempo e la comunità. Una tradizione è quando un comportamento o un uso viene assimilato da un gruppo di persone, una famiglia, un gruppo di amici, una città, una regione, una nazione; viene fatto proprio e poi viene tramandato di generazione in generazione. A Gaeta gliu sciuscio è tradizione, è entrato nel tessuto sociale”.
Anche Formia, quest’anno, ha deciso di dar luce ai sciusci con una sfilata per le vie cittadine.
“Nella locandina di Formia – fa presente un socio de Le Tradizioni- si evidenzia che quella dei sciusci è una tipica tradizione formiana, cosa che a noi non risulta. Forse qualche apparizione a Formia c’è stata, negli anni ’60-’70, gruppetti di 3-4 persone che si divertivano a passare per le case, ma ciò non si può paragonare alla tradizione gaetana che entra fin giù nelle viscere. A Formia questa passione non c’è, per cui non possono spacciare per tipicamente formiana una tradizione che non lo è mai stata. Per intenderci, il Festival gaetano de glie sciuscie ha una storia di circa 40 anni e quest’anno abbiamo dovuto anticiparlo al 5 gennaio per non accavallarci con l’omonimo evento organizzato nella città di Formia. Praticamente lo stesso festival di Gaeta, organizzato nella stessa maniera, invitando gli stessi gruppi, lo stesso giorno, solo nella città vicina. A Gaeta il 31 dicembre c’è una media di 10-15mila persone per strada, numeri che a Formia, in via Vitruvio, farebbero comodo. Chi non vorrebbe sfruttare una notorietà simile a quella de ‘glie sciuscie’? Noi non siamo in combutta con Formia, che con i sciusci vuole cercare di recuperare delle reminiscenze di 40 anni fa e copiare una cosa che funziona molto bene. Gliu sciuscio appartiene a chi lo sente e a chi lo fa, indipendentemente dall’origine o dalla provenienza. Certo, però, ‘gliu sciuscio’ è gaetano, perché è identificativo della nostra città, è rappresentativo di Gaeta. Non è rappresentativo di Minturno, di Formia o di Scauri. A Gaeta la passione nella sciusciata viene fuori dall’anima, è tale da sgolarsi, da piangere per l’emozione, è qualcosa di devastante. A Gaeta ‘gliu sciuscio’ è tradizione”.
A dimostrazione di ciò va detto che gliu sciuscio gaetano, con i suoi canti di questua, fa parte del libro di tradizioni europee “Chants d’Italie”, a cura di Serena Facci, docente nella Facoltà di Etnomusicologia dell’Università Tor Vergata di Roma, dell’antropologa Gabriella Santini, e la musicista Valentina Farraiuolo, utilizzato come materiale didattico nelle scuole francesi.
Per ammirare glie sciuscie gaetani l’appuntamento è, quindi, con “La notte de ‘Glie sciuscie'” il 31 dicembre e, il 5 gennaio, con il “Gran galà de ‘Glie Sciuscie'” in via Indipendenza e piazza Cavour, nell’ambito della manifestazione “Calanne”, organizzata dall’associazione Le Tradizioni, in collaborazione con Gaeta Dinamica e I Graffialisti, con il patrocinio del Comune di Gaeta.
Intervista in esclusiva a Mauro Di Nitto, presidente dell’Associazione Culturale Le Tradizioni