UN+BIMBO+MI+ASPETTA
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Di Alessia Maria Di Biase.

Solitamente si pensa che il desiderio di un figlio sia una questione tutta femminile: l’attesa, l’idealizzazione,il racconto delle emozioni ecc….

E invece questa testimonianza arriva da un papà adottivo, che ha fatto della sua adozione una grande comunità virtuale che oggi è diventata un libro; un diario nel quale annota giornalmente i suoi pensieri per la piccola mia.

Questa è la sua storia 

Spesso mi domando quando sono diventato papà.
Ho sempre pensato che è successo il giorno in cui ho conosciuto mia figlia.

Invece, ho capito che è successo il giorno in cui l’ho persa.

Mi chiamo Arnaldo Funaro e sono un papà adottivo.

Ho perso mia figlia il 12 maggio del 2009, quando alla prima ecografia il suo cuoricino non batteva più. Quel giorno, mentre tornavo a casa con mia moglie, ho capito che mia figlia era ancora in giro per il mondo, chissà dove, nella pancia di un’altra donna che dopo averla messa al mondo, per motivi a me sconosciuti avrebbe dovuto abbandonarla.

Da allora è iniziata la nostra ricerca tra quasi 8 miliardi persone.

E se questo vi sembra una barriera insormontabile, non potete immaginare cosa significhi fare i conti con la burocrazia italiana, con la lentezza degli uffici che, paradosso, in realtà ce la mettono tutta per far incontrare genitori e figli.

E non potete immaginare cosa significhi passare tanti notte insonni a fissare il soffitto, alternando momenti di euforia per un piccolo passo in avanti a giornate di tristezza quando non si riesce mai a vedere terra in questo mare in tempesta chiamato adozione.

Durante questo viaggio, avevo deciso di scrivere un diario dedicato a mia figlia, perché un giorno avrei voluto raccontarle tutto in parole semplici. Poi mi sono reso conto che questo diario sarebbe servito più a noi aspiranti genitori, perché se è vero che siamo tutti nello stesso mare, ci sfugge troppo spesso che siamo tutti nella stessa barca.

Da quando esiste Un bimbo mi aspetta, ricevo centinaia di messaggi, condivisioni e commenti.

Non solo da chi sta adottando, ma anche da chi, parente o amico, non riusciva a comprendere fino in fondo il travaglio differente di chi si ritrova ad aspettare anni di incontrare proprio figlio.

Da lì a trasformare la mia esperienza sui social in carta, il passaggio è stato breve.

Il bello di un libro è che rimane oltre lo schermo, oltre i pixel e oltre quei trita-contenuti chiamati social network.

Il libro è un oggetto che puoi regalare a te stesso o agli altri, un luogo dove rifugiarsi e allontanarsi da tutto, anche dai propri pensieri per raccogliere le idee di qualcun altro e confrontarle con le tue. E scoprire magari che c’è qualcosa in comune e tanto altro che non avevi mai guardato sotto quel punto di vista.

Questo libro – Un bimbo mi aspetta – non pretende di avere le risposte, ma di farti fare le domande giuste, non importa se genitore adottivo o meno.

La prima domande che mi sono fatto io, per esempio è stata: perché esiste l’adozione?

La risposta mi ha aperto un mondo: l’adozione non esiste perché qualcuno non può fare un figlio, ma perché qualcuno non può fare il genitore.

Come detto, il 12 maggio 2009 ho perso mia figlia.

Il 7 luglio 2014, l’ho ritrovata.

redazione

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